Dal 1975 la cooperativa sociale Comin realizza – nell’area metropolitana milanese e nelle province di Pavia e di Monza e Brianza – interventi educativi a favore di bambini e famiglie in difficoltà attraverso comunità di accoglienza, promozione dell’affido familiare, assistenza educativa a casa e a scuola, sviluppo di comunità; in tempi più recenti ha ampliato l’ambito di intervento realizzando servizi rivolti alle persone anziane.  Con il supporto di Pares, Comin ha promosso un laboratorio di scrittura collaborativa digitale rivolto alle figure di coordinamento. Insieme allo sviluppo di competenze digitali, riferite in particolare all’uso di Zoom, Google Drive e Miro, il laboratorio ha previsto la costituzione di sei gruppi di scrittura su questioni cardine per la cooperativa. Questo è il terzo articolo esito della scrittura collaborativa;  qui il primo e qui il secondo.

 

Ladre di bambini, che paura! Rovina famiglie… Nullafacenti! Ma noi assistenti sociali siamo davvero questo? Nel presente contributo, alla luce di tre esperienze che ci hanno coinvolte, proviamo a considerare la complessità del lavoro di ascolto, di aiuto e di accompagnamento che svolgiamo. Storie e riflessioni sulla figura dell’assistente sociale per mettere in luce il valore del lavoro di intervento sociale.

Tre storie di incontri

Di seguito vi presentiamo tre storie a partire dalle quali vogliamo approfondire cosa c’è realmente dietro il lavoro dell’assistente sociale.

Lucia

Lucia è una bambina di 9 anni che è arrivata al Servizio Sociale lo scorso anno. Le insegnanti erano preoccupate per lei, per via dei suoi comportamenti: la bambina quando era molto arrabbiata non si controllava, si faceva del male e insultava le maestre. La mamma e il papà di Lucia litigavano in continuazione e non riuscivano ad occuparsi di lei. Entrambi soffrono da anni di un disturbo psichiatrico e non frequentano il Centro Psico Sociale (CPS), il servizio specialistico che si occupa di salute mentale. Fin dal primo incontro con Lucia ci siamo accorte della complessità della situazione in cui viveva e della sofferenza che teneva dentro di sé. Lucia si procurava spesso piccole ferite, piangeva frequentemente ed esprimeva il suo forte malessere chiudendosi in se stessa.

Una volta condivise le preoccupazioni con il Tribunale per i Minorenni, il giudice ha disposto l’inserimento di Lucia in una comunità educativa. La comunità educativa non è un orfanotrofio ma un luogo accogliente che ospita temporaneamente bambini e ragazzi che vivono situazioni di difficoltà familiari dove educatori formati si prendono cura di loro.

Adesso vi starete chiedendo come hanno reagito i genitori quando sono stati informati dall’Assistente Sociale. Rosa, la mamma è scoppiata a piangere e Luigi, il papà ha chiesto quando avrebbe rivisto Lucia. Avevamo parlato già diverse volte con loro rispetto a questa ipotesi ma solo di fronte alla decisione del Giudice si è potuto condividere con i genitori che il progetto di accoglienza temporanea all’interno di una comunità educativa sarebbe stata la scelta migliore per Lucia. Insieme all’inserimento di Lucia in comunità abbiamo attivato un percorso di accompagnamento dei genitori. La mamma di Lucia si è affidata alla psichiatra del CPS e nel tempo ha aderito al percorso in modo regolare e continuativo. Il papà di Lucia, invece, continua a rifiutare la terapia farmacologica che ormai ha interrotto da tempo e non mantiene alcun contatto con il CPS. Entrambi i genitori incontrano Lucia presso il servizio di Spazio Neutro che permette alla bambina la possibilità di costruire con Rosa e Luigi una relazione positiva che la convivenza a casa aveva reso faticosa e costellata di discussioni e malesseri.

Dopo circa sei mesi dall’inserimento in comunità di Lucia, Rosa ci ha raccontato di essere più serena, sa che qualcuno si prende cura di sua figlia e anche lei può dedicarsi a se stessa e alla ricerca di un lavoro. Rosa si emoziona spesso quando pensa a Lucia, o meglio, si emoziona soprattutto quando parla degli incontri nello Spazio Neutro. Lucia non la insulta più e ha iniziato a raccontare alla mamma quanto le piace il corso di pallavolo che ha iniziato a frequentare. Luigi sta facendo più fatica, non accetta di incontrare Lucia nello Spazio Neutro e non si presenta agli incontri con noi. Il papà, però, chiede spesso informazioni a Rosa su come sta Lucia ed è interessato a sapere come Lucia sta vivendo questo periodo in comunità.

Siamo all’inizio di un percorso che ha l’obiettivo di rafforzare Lucia e i suoi genitori perché possano ridefinire contorni più solidi per la loro famiglia.

Jasmine

Jasmine è una ragazza nigeriana di 18 anni, arrivata in Italia a bordo di un barcone ancora minorenne e incinta del suo primo figlio. Ha dovuto affrontare molte difficoltà per trovare un luogo che l’accogliesse, prima accettando l’ospitalità di alcuni connazionali, poi rifugiandosi in un convento nella città di Milano. Le suore, preoccupate per la situazione di Jasmine, si sono messe in contatto con i servizi sociali del territorio per chiedere aiuto, così si sono incrociate le vite di una giovane assistente sociale e della ragazza madre.

In un primo momento le resistenze di Jasmine nei confronti del servizio sociale sono state forti. Il timore che una volta nata sua figlia potesse venire allontanata era enorme e dominante nell’interazione, tanto da portarla più volte a non presentarsi agli incontri con il servizio sparendo per lunghi periodi. Uno spiraglio si è iniziato a intravedere quando il servizio ha comunicato a Jasmine la possibilità di essere inserita in un contesto comunitario aperto all’ospitalità di madri e figli, dove sarebbe potuta rimanere durante gli ultimi mesi di gravidanza e durante i primi anni di vita della sua bambina. E così è andata. Jasmine e la piccola Nia hanno trascorso diverso tempo in comunità, incontrando periodicamente l’assistente sociale e ricomponendo insieme a lei man a mano diversi pezzi della sua vita, dal rimettersi in contatto con il papà di Nia, arrivato naufrago in Grecia durante lo stesso viaggio che portò in Italia Jasmine, fino alla sua ricerca di un’occupazione lavorativa per iniziare il cammino verso un’indipendenza economica.

Fra Jasmine e l’assistente sociale si è creato un vero rapporto di fiducia. La ragazza si è affidata al servizio seguendo le indicazioni fino a quando è riuscita effettivamente a trovare un lavoro come parrucchiera e a iscrivere sua figlia all’asilo, fino alla nuova proposta del servizio di offrire loro la possibilità di vivere temporaneamente in un appartamento di semi autonomia dove aver maggior libertà e sperimentare a tutti gli effetti la vita familiare. Ad oggi sono trascorsi tre mesi da quando Jasmine e Nia vivono nell’appartamento. Il cammino verso una totale autonomia è ancora lungo, ma Jasmine e Nia non sono sole e sanno di potercela fare.

Pietro

Pietro è un ragazzo di 19 anni con una diagnosi di ritardo cognitivo che ha vissuto per la maggior parte della sua infanzia e adolescenza a casa con la mamma e il fratellino. I suoi genitori sono separati fin da quando era molto piccolo. Giovanni, il papà, poco dopo il matrimonio si è rivelato affetto da disturbo della personalità di tipo schizofrenico, incontrando non poche difficoltà nel dover convivere con una diagnosi di questo tipo, soprattutto all’interno della relazione coniugale, poi arrivata a conclusione.

Divenendo adolescente Pietro ha presentato comportamenti simili a quelli del padre, fino alla recente valutazione di medesimo disturbo e all’episodio culminante che ha portato la madre a decidere di cacciarlo via di casa. In tale occasione Pietro avrebbe infatti messo in atto comportamenti violenti verso la stessa, costringendola a rivolgersi al Pronto Soccorso per delle medicazioni. Il Servizio Sociale in tale occasione è stato allarmato dal vicinato e subito si è messo in moto per contattare la signora e Pietro per comprendere meglio la situazione. Lo stato di espulsività a cui il ragazzo era stato sottoposto negli ultimi anni lo portava ad essere molto schivo e diffidente inizialmente ma, una volta mostrata la reale intenzione di aiutarlo, si è affidato totalmente al servizio.

Piano piano si è concordato insieme che la migliore occasione per lui in quel momento fosse garantirgli un luogo in cui potesse essere accolto e avere la possibilità di costruire il suo futuro. Si è trovata così, insieme, una Comunità per disabili all’interno di un contesto territoriale piacevole per offrire ai ragazzi ospiti di poter interagire quotidianamente con cavalli, conigli, mucche e galline e di prendersi cura del grande orto presente. All’interno della struttura inoltre, Pietro ha la possibilità di frequentare alcuni corsi professionali, auspicando un giorno il raggiungimento di una sua autonomia.

Primo spunto: progettazione partecipata

Partecipazione è una parola ricca e complessa che va riempita di senso proprio perché ha molteplici significati.

La “scala di partecipazione” di Arnstein ci permette di ragionare in un’ottica di apertura e condivisione che coinvolge le persone a diverso livello. L’assistente sociale, nello svolgimento della professione, mantiene questo sguardo teso verso l’esterno con l’obiettivo di mettere al centro pensieri, bisogni e opinioni del bambino, della famiglia, dell’anziano, del cittadino che incontra e del territorio in cui lavora.

Da qui la “progettazione partecipata” come spazio di possibilità e luogo di parola in cui l’assistente sociale si mette in ascolto, un ascolto attivo nel quale valorizza le parole delle persone per arrivare ad un percorso ragionato e co-costruito volto alla ricerca di un loro maggior benessere.

C’è una differenza sottile ma sostanziale fra lavorare per le persone e lavorare con le persone. L’assistente sociale lavora con le persone e questo permette di metterle al centro del proprio progetto partecipato e trasformativo. In questo modo si restituisce alla persona la propria centralità, in quanto massima esperta della sua storia di vita ed insieme si condividono le fasi operative del lavoro.

Secondo spunto: un cammino fianco a fianco, in ascolto di sé

Gioia, tristezza, rabbia, sorpresa, paura. L’assistente sociale cammina fianco a fianco alle persone, le famiglie e i gruppi che incontra per sostenere e promuovere cambiamenti positivi delle loro condizioni di vita. Se chiudessimo gli occhi e pensassimo al ruolo dell’assistente sociale potrebbe venirci in mente un freddo impiegato o un insensibile burocrate trincerato dietro alla propria scrivania. Se poi provassimo a riaprire gli occhi ci accorgeremmo che la realtà è molto più complessa.

L’assistente sociale sta accanto ed accompagna, costruisce relazioni di fiducia insieme alle persone con l’obiettivo di valorizzare le risorse e migliorare il loro livello di benessere. Nell’esercizio della professione l’assistente sociale è chiamata a prendere contatto con ciò che prova, in un “Inside Out” di emozioni, in continuo dentro e fuori di sé alla ricerca di quella “giusta distanza” che permette di porre al centro i bisogni della persona ed intervenire con efficacia.

Ogni scelta e valutazione che l’assistente sociale opera è delicata e complessa perché coinvolge la vita dell’altro. È proprio per questo che l’assistente sociale apre un dialogo emotivo con sé, con ciò che prova e sente, ascolta la persona per comprenderla ed accoglierla al meglio.

Terzo spunto: interconnessione dei saperi

Il lavoro dell’assistente sociale si rivela dunque molto complesso, dovendo tener conto dei tempi e dei vissuti delle persone con cui interagisce, coinvolgendole nella costruzione del proprio progetto di vita e nella ricerca delle soluzioni più idonee.

Spesso le problematicità legate alla situazione richiedono sguardi differenti per poter esser meglio approfondite e affrontate. L’assistente sociale interagisce infatti con diversi operatori e differenti realtà del territorio: partendo da ambiti e professioni di tipo sanitario quali lo psicologo, lo psichiatra, il neuropsichiatra infantile, il medico ad altri di tipo sociale come l’educatore e gli insegnanti.

L’assistente sociale che vi abbiamo raccontato

Le storie di Lucia, Jasmine e Pietro ci aiutano a mettere in luce la complessità del lavoro quotidiano dell’assistente sociale troppo spesso stereotipato in “ladra di bambini”:

Ma quindi chi è l’assistente sociale? È un professionista che ascolta, coinvolge e lavora con le persone mettendole al centro del loro progetto con l’obiettivo di fornire gli strumenti, valorizzare le loro risorse e migliorare il proprio benessere. L’incontro con la storia dell’altro coinvolge inevitabilmente l’operatore che deve potersi fermare e riflettere sulle proprie emozioni e sul proprio agire. Certamente non è da sola, l’assistente sociale ha infatti il compito di attivare una rete di servizi che possano sostenere ed accompagnare la persona.

Quelle di Lucia, Jasmine e Pietro sono solo tre delle moltissime storie che quotidianamente gli uffici del Servizio Sociale accolgono. Raccontandole speriamo di aver fornito uno sguardo nuovo sulla nostra professione.

 


Collaborare e partecipare

Questo contributo è parte del Focus tematico curato da Pares, che presenta idee, esperienze e proposte per riflettere sui temi della collaborazione e della partecipazione per facilitare cooperazione e coinvolgimento. Il Focus è aperto a policy maker, community maker, agenti di sviluppo, imprenditori, attivisti e consulenti che vogliono condividere strumenti e apprendimenti, a partire da casi concreti. Qui tutti i contenuti del Focus.