Le tempistiche del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza impongono al Governo di presentare al Parlamento il Disegno di legge delega per la riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti entro la fine dell’estate. Se così non sarà il processo di riforma, a cui da mesi lavora il “Patto per un nuovo welfare per la non autosufficienza (rete di advocacy formata da 48 organizzazioni che si occupano a vario titolo della questione, tra cui Percorsi di secondo welfare), rischia di arenarsi e non portare a compimento un rinnovamento che il nostro Paese aspetta da un trentennio.

Il nostro sistema della Long Term Care (LTC) – ovvero il complesso di interventi per l’assistenza continuativa agli anziani – è spesso definito “frammentato e “ibernato” poiché soffre di due problemi fondamentali: da un lato il perdurare di una carente organicità e unitarietà degli interventi, dall’altro l’“immobilismo” nelle riforme. Qualcosa che non possiamo più permetterci di fronte al costante invecchiamento della popolazione italiana e al concomitante aumento dei bisogni legati alla non autosufficienza.

Per queste ragioni, nei giorni scorsi il Patto ha rivolto un appello alle istituzioni in cui chiede che il Governo Draghi – nei rispetto dei limiti imposti dal “disbrigo degli affari correnti” – faccia tutto il possibile per presentare comunque il Disegno di legge delega e mettere il prossimo Parlamento nelle condizioni per lavorare da subito alla riforma e senza snaturare quanto fatto fino a questo momento. 

Abbiamo chiesto a Cristiano Gori, coordinatore del Patto e Professore ordinario all’Università di Trento, di aiutarci a capire perché questa riforma è così importante per l’Italia e quali sono i contenuti principali che andranno sviluppati per dare al Paese un sistema in grado di sostenere i grandi cambiamenti in atto su questo fronte.

Il Focus di Secondo Welfare sulla Long Term Care

Ci stiamo occupano sistematicamente della riforma del sistema della non autosufficienza. Lo facciamo pubblicando ogni settimana articoli e interviste che aiutino a capire meglio le diverse questioni che riguardano la Long Term Care. Sono tutti qui.

Gori, perché è importante realizzare una riforma del nostro sistema di Long Term Care?

Tutti i Paesi europei simili all’Italia hanno affrontato una riforma della LTC. L’Austria nel 1993, la Germania nel 1995, la Francia nel 2002 e la Spagna 2006. Alla base di queste riforme vi erano due presupposti: da una parte, la popolazione anziana non autosufficiente era cresciuta molto e i suoi bisogni si erano fatti sempre più complessi, dall’altra le risposte di welfare progettate per il contesto precedente erano inadeguate al nuovo scenario. Negli anni divenne quindi evidente come tali sistemi di welfare non potessero tenere adeguatamente conto delle esigenze che stavano allora emergendo.

La LTC per molto tempo era stata considerata una policy “minore” e le innovazioni che si erano susseguite avevano avuto un carattere incrementale. La questione dell’incrementalità delle risposte contraddistingue anche le scelte nel nostro Paese, dove la legislazione, in momenti e con attori diversi, ha seguito una logica simile. Quello che è mancato – e che invece contraddistingue tutti i processi di riforma – è dunque l’individuazione di un momento di riflessione condivisa, necessario al costruire una strategia comune all’interno di un quadro sistemico. In altre parole, un momento per mettere ordine a un insieme di interventi frammentati e stratificati in maniera incrementale.

È in questa prospettiva che deve essere letta la necessità di una riforma nazionale, che definisca pochi elementi chiave – come i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e i Livelli Essenziali dell Prestazioni in Ambito Sociale (LEPS) -, comuni a tutte le Regioni. Nei contesti fortemente decentrati come il nostro, l’esperienza di Paesi simili – come Spagna e Germania – può quindi essere di aiuto.

L’obiettivo è uno Stato che indichi pochi punti chiave da soddisfare e che per il resto rispetti l’autonomia dei contesti locali.

Più in generale, guardando al nostro sistema di welfare, la LTC rappresenta l’unico tra i “nuovi rischi sociali” a non essere ancora stato oggetto di riforma. Mentre la povertà e le misure per il sostegno dei figli hanno visto una profonda riorganizzazione degli strumenti, ad esempio, lo stesso ragionamento non può essere fatto per la non autosufficienza. E questo deve farci interrogare su un altro aspetto rilevante: perché questi temi sono assenti all’interno del dibattito pubblico? Non ho una risposta precisa, quello che però posso notare è che mentre la povertà è visibile ma “politicamente” divisiva, la non autosufficienza non è divisiva ma allo stesso tempo non è neanche visibile.

Qual è la situazione della LTC negli altri Paesi europei?

Come detto, negli scorsi decenni molti dei Paesi europei hanno promosso riforme strutturali, che hanno modificato in profondità il sistema, rafforzando – sebbene con forme e strumenti diversi – l’offerta di servizi. Guardando a queste esperienze, un sistema simile al nostro come quello spagnolo ha messo in evidenza alcuni elementi rilevanti. Non solo la definizione della riforma è stata complessa ma ha anche richiesto tempi lunghi per essere attuata. In altre parole, l’esperienza suggerisce di guardare non soltanto al momento dell’approvazione ma anche ai passaggi necessari per una loro concreta implementazione.

A mio parere, queste sono le due principali lezioni che possiamo apprendere: un buona legge nazionale, che indichi un percorso all’interno del quale tutti gli attori possano riconoscersi, rappresenta una condizione necessaria ma allo stesso tempo non sufficiente. Una volta approvata la sfida diventa infatti quella dell’attuazione. E qui dobbiamo fare attenzione a non creare aspettative non realistiche perché, come abbiamo visto, le Regioni partono da posizioni differenti e modelli diversi e i tempi di attuazione richiederanno una prospettiva di medio-lungo periodo.

Quale ruolo ha giocato e potrà giocare nei prossimi mesi il Patto?

Lo scorso anno, le organizzazioni che poi si sono unite nel Patto hanno chiesto e ottenuto l’introduzione della riforma – che non era prevista nella versione del PNRR presentata nel gennaio 2021 dal Governo Conte II – nella versione finale del Piano predisposta dal Governo Draghi. Successivamente abbiamo fatto delle proposte sulla domiciliarità per la Legge di Bilancio 2022, che sono stata inserite solo in parte e con notevoli difficoltà. Così, nonostante con l’approvazione del PNRR si sia fatto un notevole passo in avanti, i passaggi successivi hanno visto un arretramento rispetto alla fase iniziale. Ciò significa che il percorso di legittimazione di una nuova policy non è affatto scontato e lineare.

Il nostro obiettivo di questi mesi è stato far sì che le nostre proposte per l’elaborazione della riforma, legate all’introduzione del Sistema Nazionale Assistenza Nazionale facciano parte del Disegno di Legge Delega in preparazione.

L’attuale situazione politica sicuramente non rende facile questo passaggio così importante, ma nel momento in cui sarà presentata la Delega vi saranno tre aree di lavoro. Primo, promuovere in sede Parlamentare gli eventuali emendamenti che saranno necessari. Secondo, premere affinché alla riforma vengano assegnate adeguate risorse finanziarie. Terzo, elaborare idee per la stesura dei decreti delegati di attuazione della riforma.

Perché è importante per il nostro Paese investire su una nuova cultura del care?

A mio parere è necessario provare a cambiare prospettiva: non si tratta di promuovere una “nuova cultura del care” ma di contribuire a portare a sistema quelle prassi che, nella letteratura e nelle esperienze locali migliori, sono già presenti. Si tratta, in altre parole, di cercare di portare a sistema un approccio di “care multidimensionale”, che in parte è già presente, sebbene con forme e intensità differenti, e che considera l’insieme delle condizioni della vita dell’anziano, all’interno del suo contesto di vita e delle sue relazioni.

Quella che proponiamo non è quindi una riforma “innovativa” dal punto di vista dei contenuti, perché frutto di un lavoro di raccolta e rilettura di un dibattito decennale, con molti punti di contatto e convergenza. E forse è anche per questo motivo che circa 50 associazioni hanno raggiunto un accordo rispetto all’impostazione della proposta.

A me piace dire che le nostre proposte non sono originali.

Non penso sia una diminuzione del nostro lavoro, credo sia giusto che una realtà come la nostra faccia sintesi di un dibattito da tempo in corso tra gli addetti ai lavori e cerchi di trasferirne i risultati alle istituzioni.

 Quali sono le proposte avanzate dal Patto per la riforma?

In generale, le diverse proposte (che Secondo Welfare ha approfondito nel Focus LTC, ndr) partono da un duplice obiettivo: legittimare la LTC e definirne il perimetro. In tutti i Paesi europei le riforme hanno permesso alla LTC di diventare un nuovo e autonomo ambito di welfare. Oggi in italia non è possibile, vorrebbe dire fare complesse operazioni di ingegneria istituzionale non realizzabile. Nonostante ciò, la nostra proposta si avvicina molto alla “sostanza” delle riforme degli altri Paesi.

Con il Sistema Nazionale Anziani si crea infatti il presupposto istituzionale per un superamento della semplice retorica sull’integrazione, in base alla quale si cerca di tenere insieme la componente sanitaria con quella sociale con il rischio di sommare insieme componenti parziali. L’obiettivo è tracciare confini precisi e riconoscibili ad esigenze che, nel dibattito pubblico, risultano ancora troppo frammentate.

La proposta di riforma cambia la prospettiva, mettendo al centro le specificità della non autosufficienza e, quindi, del care multidimensionale.

A questo proposito, per comprendere la logica della proposta, un buon esempio può essere quello delle politiche per la famiglia. Prima della riforma sull’Assegno unico, il sostegno ai figli avveniva infatti attraverso misure differenti, frammentate e non coordinate tra loro. Con l’introduzione dell’Assegno Unico Universale per i Figli, invece, abbiamo una misura unica, definita e riconoscibile. Di conseguenza, l’obiettivo diventa quello di renderla sempre migliore. Lo stesso dovrà avvenire con il Sistema Nazionale Anziani.

Come abbiamo scritto nella nostra lettera aperta alle istituzioni, la prematura interruzione della legislatura rischia di disperdere quanto è stato realizzato sinora e di rendere inutile il percorso avviato. Banalmente: non possiamo permetterci di ricominciare daccapo nella nuova legislatura, non c’è tempo a disposizione per rispettare il cronoprogramma del PNRR. Per questo chiediamo che sia compiuta ogni azione possibile affinché si dia seguito al lavoro compiuto e la nuova attenzione verso la non autosufficienza non rimanga una mera dichiarazione d’intenti. Il rischio è tra le vittime dell’attuale crisi politica ci siano i non autosufficienti e le loro famiglie. Questo non possiamo permettercelo.