Come la crisi ri-configura l’immaginario

Nel corso degli ultimi decenni, il concetto di crisi è stato oggetto di un radicale ripensamento. L’emergenza ha assunto, nel vissuto quotidiano e negli ordinari scenari amministrativi, “uno stato permanente, costitutivo, dei regimi politici contemporanei” (Amoretti et al. 2021). E se, storicamente, le crisi e i conflitti mettono alla prova la tenuta delle nostre strutture sociali e la forza dei nostri apparati valoriali, l’avvento dell’era della crisi permanente non può non porci di fronte a pressanti interrogativi di carattere etico e politico.

L’esplosione della pandemia da Covid-19 del 2020 ha senz’altro costituito un evento profondamente traumatico, che ha lasciato emergere una serie di criticità irrisolte: a livello trans-nazionale, nel rapporto tra Unione Europea e Paesi membri; a livello nazionale, nel rapporto Stato e Regioni; a livello civico, rinfocolando con inaspettato vigore il fuoco di un conflitto di classe che si credeva estinto.

L’esperienza del lockdown, come dimensione di reclusione ansiogena, esasperata da una generalizzata sovraesposizione a un incessante flusso informativo (infodemia), ha creato un terreno fertile per lo sviluppo di un nuovo immaginario condiviso. O, più precisamente, di un nuovo inconscio sociale che “può formarsi attraverso la semplice esposizione a contenuti di cui non siamo consapevoli” (Bottici 2014).

Il febbrile susseguirsi di aggiornamenti sull’indice di contagio, il computo dei decessi e dei posti in terapia intensiva, le distanze minime di sicurezza, i limiti chilometrici agli spostamenti: ogni aspetto del tessuto sociale è stato progressivamente ridefinito in senso puramente quantitativo. Ogni aspetto del vissuto quotidiano è stato ri-codificato secondo indici numerici, perfino le basilari libertà di movimento e l’ammissibilità delle interazioni umane, incluse quelle più intime, familiari ed affettive.

Un crescente disagio sociale e relazionale ha acuito preesistenti tensioni conflittuali e amplificato la percezione di insicurezza legata a fattori estranei all’emergenza sanitaria. Il nuovo inconscio sociale, elaborato in una cornice di assoluta precarietà, è dunque divenuto un incubatore di nuove narrazioni.

La capitalizzazione delle libertà

In situazioni di crisi – e ancor più nel contesto pandemico, caratterizzato da restrizioni, misure preventive e dal generale spopolamento degli spazi della socialità – le piattaforme social assumono un ruolo fondamentale. Non solo come luoghi d’incontro digitale, ma anche come spazi conversazionali “sicuri”, su cui notizie, prospettive e storie vengono condivise e negoziate pubblicamente. Ovviamente, nonostante le iniziali aspirazioni democratizzanti del web 2.0, sulle piattaforme social diverse voci detengono un diverso peso. Durante le successive fasi dell’emergenza sanitaria, il mondo politico e i suoi attori principali sono stati il fulcro dell’attenzione dei cittadini/utenti e, conseguentemente, i principali narratori attorno a cui le narrazioni online si coagulavano.

Una approfondita analisi della comunicazione politica sui social network è stata condotta nel dicembre 2020, in corrispondenza di quella che è stata definita la seconda ondata del contagio pandemico. Dai dati raccolti, è emersa una peculiare gestione retorica del tema delle libertà associato alle restrizioni.

Una tendenza che, in Italia, si è trasformata progressivamente in un leitmotiv caratterizzante della comunicazione della coalizione di centrodestra: presentare come nettamente contrapposte le libertà provvisoriamente negate agli italiani (chiusi in casa) e quelle garantite ai migranti (a cui veniva concesso il diritto di sbarcare sulle coste nazionali). I peccati di un governo liberticida nei confronti dei suoi cittadini e garantista con gli stranieri venivano propagandati ossessivamente attraverso le attività sui social network, e incardinati in una cornice narrativa fortemente oppositivo-dualistica.

Razzismo, neo-razzismo, post-razzismo

Nel testo, Nationalism on the Internet (2020), Christian Fuchs analizza le più recenti incarnazioni digitali di forme di pensiero nazionalista e razzista. In uno dei passaggi più interessanti dell’opera, muovendo dalle teorie critiche del nazionalismo (cfr. Balibar e Wallerstein 1991), l’autore distingue tra due forme di razzismo.

La prima mira a fabbricare e legittimare un’idea di unità nazionale su base etnica: definendo i tratti di una comunità autoctona originaria, viene individuata negli stranieri una potenziale minaccia (economica, culturale, genetica, valoriale, ecc.) al gruppo dominante.

Viene poi descritta una seconda forma – definita da diversi accademici come come neo-razzismo, razzismo differenzialista o neo-nazionalismo – il cui tema dominante non è la differenza biologica, quanto piuttosto l’insormontabilità di differenze culturali e l’inconciliabilità tra stili di vita di due gruppi (Fuchs 2020; cfr. Balibar e Wallerstein 1991). Una forma di attacco non fondato sulla pretesa superiorità o inferiorità di un determinato gruppo, quanto piuttosto sul potenziale danno derivato dalla convivenza forzata tra comunità incompatibili.

Fuchs individua numerosi esempi di neo-razzismo nella comunicazione social del partito tedesco Alternative für Deutschland. Per il partito, i social network divengono il luogo in cui canalizzare frustrazioni e malcontento dei cittadini, alimentare la competizione sociale, e – spesso dissimulandolo in forma di satira o di umorismo particolarmente aggressivo – forme di pensiero neo-razzista.

Dinamiche analoghe trovano posto anche nella comunicazione politica italiana che pur tuttavia, nei contenuti oggetto di questo studio, ha lasciato emergere tratti peculiari sensibilmente differenti. Offrendo episodiche concessioni a una prospettiva più moderata e aperta al pluralismo, il centrodestra italiano ha ricalibrato le proprie strategie comunicative in maniera più sottile. Piuttosto che sull’incompatibilità culturale, il fulcro retorico della propaganda nazionalista è l’insufficienza delle risorse. Il concetto di “risorse” viene ri-significato in senso estremamente ampio. Non ci si riferisce unicamente alla scarsità di fondi stanziabili per far fronte all’emergenza migratoria: il concetto di risorsa pubblica si estende fino a innescare una vera e propria quantificazione del patrimonio delle libertà; una capitalizzazione dei diritti.

Da un lato, dunque, vengono contrapposti l’assistenza concessa ai rifugiati alle irrisolte criticità di degrado e abbandono nazionale. Dall’altro, oltre il confronto meramente monetario, il dualismo si estende alle energie istituzionali investite e alla concessione preferenziale di determinati diritti immateriali.

All’interno della cornice pandemica anche la libertà di spostamento si trasforma in una risorsa da tesaurizzare e distribuire con oculatezza. Una risorsa di cui c’è disperata scarsità, come dimostrano gli aspri toni della propaganda del centrodestra, che contrappongono il permissivismo con cui si accolgono gli sbarchi ai confini alla forzata reclusione dei cittadini in casa. Un post Facebook esemplificativo di Giorgia Meloni del 3 dicembre 2020 recita: “Mentre agli italiani viene impedito a Natale di passare da un Comune all’altro, agli immigrati si vuole favorire il passaggio da un continente all’altro”.

La pretesa di oggettività supportata dall’evidenza numerica

Su questo impianto retorico si innesta una peculiare caratterizzazione semantica, nata dal nuovo orizzonte immaginale creato dalla pandemia: la pretesa di oggettività supportata dall’evidenza numerica. La relazione tra l’accoglienza ai migranti e il rischio per la sicurezza socioeconomica dei cittadini viene puntualmente quantificata attraverso la reiterata ostentazione di cifre contrapposte.

A ogni indice di chiusura di imprese, corrisponde un bollettino di nuovi sbarchi; a ogni percentuale di Covid-positivi registrata negli ospedali ne corrisponde una registrata nei centri di accoglienza; per ogni nuovo migrante libero di giungere in Italia, un cittadino rimane confinato in casa un giorno in più. La malagestione governativa di un capitale di libertà viene espressa in forma di ammanco/surplus numerico, e rafforzata da numerosi richiami giornalistici: ad esempio, 70.000 agenti per “militarizzare” il Natale e “sorvegliare” gli italiani; 32.665 immigrati sbarcati liberamente nel 2020, come dimostrano i post pubblicati sul profilo Instagram della Lega il 6 dicembre 2020.

Non è sempre necessario, da parte dei comunicatori politici, associare esplicitamente i due ordini di fenomeni: la corrispondenza tra le energie profuse nel controllo degli italiani e quelle non impiegate per prevenire l’immigrazione clandestina si colloca nello spazio vuoto, sia testuale che narrativo, tra i diversi post. La ricostruzione del collegamento ha origine per l’utente nello iato editoriale, nello spazio bianco digitale lasciato all’interpretazione del cittadino. Uno schema narrativo antichissimo viene così a innestarsi in un orizzonte immaginale dominato da un mito smaccatamente post-moderno: quello dell’autoevidenza del dato.

Il dato numerico si trasforma in uno strumento versatile capace di avvalorare qualsiasi narrazione. Nella fattispecie, lo storytelling del centrodestra se ne serve per “vestire di oggettività” quella che va assumendo le sembianze di una nuova postura discriminatoria, sublimata in una prospettiva manageriale-amministrativa. Una nuova forma di opposizione “noi-loro”, fondata sull’implicita assunzione che esista un patrimonio limitato di libertà e diritti, insufficiente a garantire il benessere sia dei cittadini che degli stranieri. Una struttura-pensiero che presenta in termini puramente economici l’opposizione tra gruppi, e per la quale viene qui suggerita la definizione di post-razzismo.

 

I Policy Highlights di Politiche Sociali/Social Policies

Il presente articolo sintetizza sintetizza alcuni degli esiti principali di un lavoro pubblicato sul numero 2/2022 di Politiche Sociali/Social Policies, rivista edita dal Mulino e promossa dalla rete ESPAnet-Italia. Per maggiori dettagli e citazioni: Calabresi, L., Post-razzismo e capitalizzazione delle libertà – Narrazioni sul Confine e sul Confinamento, in «Politiche Sociali/Social Policies», 2/2022, pp. 271-288.

Per questo contributo Livio Calabresi è risultato vincitore, ex aequo con Chiara Panciroli, del Premio Giovane Ricercatore 2021, organizzato da Politiche Sociali/Social Policies in collaborazione con ESPAnet-Italia.

 

Riferimenti

  • Amoretti F., Fittipaldi R. e Santaniello M.  (2021), Poteri monocratici e comunicazione politica ai tempi della pandemia. Dal governo Conte II al governo Draghi, in «Comunicazione politica», 3, dicembre 2021, p. 334.
  • Bottici C. (2014) Imaginal Politics – Images Beyond Imagination and the Imaginary, New York, Columbia University Press, pp. 64-65 (mia traduzione).
  • Balibar É. e Wallerstein I. (1991), Race, Nation, Class, Londra, Verso.
  • Fuchs C. (2020), Nationalism on the Internet – Critical Theory and Ideology in the Age of Social Media and Fake News, New York, Routledge, p. 155.

 

 

Foto di copertina: Markus Spiske, Unsplash