4 ' di lettura
Salva pagina in PDF

L’11 novembre a Milano si sono svolti i TechSoup Days, evento annuale organizzato da TechSoup per condividere, riflettere e dialogare sulla digitalizzazione nel non profit italiano. L’edizione di quest’anno, dedicata al tema “Il digitale per l’impatto“, ha visto la partecipazione di relatori provenienti sia dal mondo della tecnologia e dell’informazione che dal settore non profit, che hanno aiutato i partecipanti ad inquadrare il rapporto tra digitale, impatto sociale e organizzazioni di Terzo Settore. Tra i vari interventi, il “Digital keynote” del direttore di AICCON Paolo Venturi ha offerto molti spunti su cui riflettere. Gli abbiamo chiesto di ripercorrere con noi i temi toccati nel suo intervento e approfondire alcuni aspetti che ci sono parsi particolarmente interessanti.

Paolo, durante il tuo intervento ai TechSoup Days hai parlato del rapporto tra impatto sociale e digitale. Ci aiuti a inquadrare meglio questo tema così complesso che interessa sempre più spesso il non profit?

Impatto e digitale sono dimensioni che non si possono gestire in una logica meramente addizionale, a maggior ragione quando c’è di mezzo il non profit. Questo significa che non è sufficiente prendere la valutazione dell’impatto e aggiungerci delle componenti di digitalizzazione, facendo la valutazione ma con strumenti digitali. Perché impatto e digitale possano funzionare insieme serve una prospettiva armonica. Questo significa che si deve alimentare una  interdipendenza  fra non profit, digitale e impatto. Una interdipendenza che sia guidata da uno scopo. Questi tre elementi devono infatti muoversi all’unisono, secondo una logica nuova, altrimenti il rischio è il riduzionismo e la strumentalità, ovvero che si costruiscano progettualità solo apparentemente ad impatto, ma che poi non sono effettivamente antagoniste delle cause che alimentano disuguaglianze, povertà, uso dello spazio, insostenibilità… In altre parole, il rischio è che si costruiscano progetti che sulla carta possano essere valutati positivamente, ma che poi in fin dei conti non cambiano la realtà. Le esternalità positive non sempre son cambiamenti desiderati.

Ci puoi aiutare a capire meglio cosa intendi con “prospettiva armonica”?

Per assumere una prospettiva armonica fra non profit, impatto e digitale occorre un approccio “radicale” costruito anzitutto sulla “razionalità sociale” e non sulla “razionalità economica”. Quest’ultima presuppone una scelta fra “mezzi” per perseguire  un determinato fine. Decido cioè cosa mi è più utile per raggiungere un obiettivo. La razionalità sociale, invece, prevede la scelta tra “fini” diversi, e evidenzia non tanto qual è il processo più efficiente per raggiungerli, ma il “cosa è bene fare” per raggiungere uno scopo, appunto, sociale. E quindi comune. Qui non ce la possiamo giocare con la sola efficienza, c’è bisogno di avere un’idea di valore che determini le scelte che si decidono di intraprendere. Provo a dirlo in un altro modo: il digitale se vuole abilitare l’impatto non può esser neutrale, deve cioè essere in grado di adottare scale che rispecchino il senso profondo della valutazione che si intende generare.

Cosa vuol dire che non può essere neutrale?

Che si fan guai a separare la scala dallo scopo. Le intenzioni alla base della  valutazione a che a cosa tendono? Quale orizzonte trasformativo vogliono contribuire a generare? Cosa c’è al centro? Le relazioni o i contatti? La felicità o l’utilità? La democrazia o il networking? Il Bes o il Pil? Le domande di valutazione che ci poniamo non possono prescindere da queste decisioni. Questa consapevolezza deve essere al centro, ossia dichiarata ex ante, nell’uso del digitale da parte del non profit, ma in realtà anche delle politiche pubbliche… La separazione tra scala e scopo è mortifera per il non profit e l’impatto sociale che esso può generare. Però attenzione a non fare confusione, perché lo scopo non coincide con le metriche. Queste ultime danno espressività allo scopo, ma non lo generano. Anzi, il rischio è che nel lungo periodo impediscano di raggiungerlo se manca un ancoraggio a motivazioni e modelli di relazione coerenti.

Provi a spiegarci meglio questo passaggio?

Le metriche sono decisive se sono parte integrante di una strategia. Attenzione su questo: le metriche non sono la strategia, ma devono essere sempre prese in considerazione perché sostengono le motivazioni alla base della valutazione. Oggi è in atto una polarizzazione dello scopo intorno alle sole metriche, su cui ormai si stanno formando dei veri e propri marketplace, mentre queste si legittimano e dentro una “nuova catena del valore”. Il rischio è che nasca una nuova compliance “impact oriented” senza l’anima, in cui si “fa” il bene ma senza “volerlo fare”. La metrica quindi è necessaria ma non sufficiente. Il bene, come dicevo prima, quasi sempre si alimenta in maniera inattesa. L’impatto deve essere orientato alla prosperità in senso ampio: impact means prosperity.

Ma come si può adottare questa prospettiva?

Come dicevo prima, per perseguirla non bastano le metriche ma occorre ridisegnare tutta la catena del valore: dalle intenzioni fino alle trasformazioni passando da funzioni e modelli organizzativi. Una prospettiva nuova che di fatto ha la responsabilità non solo di migliorare gli strumenti di misurazione ed il capacity delle organizzazioni, ma anche di ri-disegnarle nella loro essenza. Il digitale è uno strumento decisivo e imprescindibile che può contribuire alla frammentazione oppure, per citare Marrakech, può essere pilastro di una nuova generazione di istituzioni inclusive capaci di superare la distinzione fra “noi, loro e gli altri”. Il digitale orientato all’impatto, come l’innovazione, va misurato sui mezzi e sui fini.

E come si potrebbe concretizzare?

Innanzitutto occorre uscire dalle “fazioni” che si stanno formando intorno a questo tema. L’ampiezza, l’eterogeneità, la biodiversità del terzo settore chiedono un approccio rigoso ma aperto e in molti casi sartoriale. La dimensione armonica a cui accennavo può essere raccontata bene, chiedendo aiuto alla biologia. Per creare nuovi meccanismi capaci di ridisegnare la catena del valore dobbiamo superare il “parassitismo”, quando qualcuno cresce a discapito di un altro, e il commensalismo, quando qualcuno cresce grazie ad altri ma senza creare danni – potremmo dire senza disturbare il guidatore -, per approdare al mutualismo. Una simbiosi generativa tra tutti gli attori in campo. In altri termini la domanda a cui Il digitale orientanto al bene comune, ma non solo, dovrebbe includere nella sua strategia è: mutualizzo  o non mutualizzo?