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La violenza contro le donne è un problema strutturale presente a livello globale. In Italia 1 donna su 3 ne è vittima, eppure il fenomeno non viene ancora affrontato con le giuste misure. Anche perché spesso i dati, le politiche e le valutazioni non sono sufficienti.

Oggi, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, proviamo a fare il punto della situazione nel nostro Paese approfondendo anche il sistema di protezione attualmente attivo. E a vedere quanto è rilevante il ruolo del secondo welfare su questo fronte.

Violenza di genere e violenza domestica

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 dicembre 1993 ha definito la violenza contro le donne come “ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata”1.

Come abbiamo raccontato l’anno scorso, quando si parla di violenza contro le donne spesso si pensa alle aggressioni fisiche. La violenza fisica è però solo la punta dell’iceberg: esistono infatti altri fenomeni molto diffusi come stalking, violenza psicologica, economica, fisica, sessuale, e violenza assistita.

La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, conosciuta anche come Convenzione di Istanbul, ha introdotto una distinzione sulle tipologie di violenza. Definisce violenza di genere qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale o che colpisce le donne in modo sproporzionato2, distinguendola, appunto, dalla violenza domestica che indica qualsiasi atto di “violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verifica all’interno della famiglia o del nucleo familiare3.

La Convenzione di Istanbul ha anche stabilito una serie di obblighi e impegni, tra cui la predisposizione e il rafforzamento di un sistema protezione e sostegno per le vittime (l’intero capitolo IV della Convenzione è dedicato a questo argomento). Particolarmente interessante è in questo senso l’obbligo, per i Paesi firmatari, di “raccogliere a intervalli regolari i dati statistici disaggregati pertinenti su questioni relative a qualsiasi forma di violenza che rientra nel campo di applicazione” della Convenzione e l’impegno a rendere pubblici questi dati4. Vediamo perché.

La raccolta e la diffusione dei dati

L’Italia è membro dell’ONU e ha sottoscritto la Convenzione di Istanbul. Un aspetto importante della raccolta e pubblicazione dei dati relativi alla violenza di genere e domestica è rappresentato dalle informazioni relative ad alcuni crimini considerati particolarmente rilevanti. A livello giuridico, nel nostro Paese sono dunque rilevati (anche) a questo scopo innanzitutto gli omicidi volontari la cui vittima è una donna, i cosiddetti femminicidi.

Il numero di femminicidi commessi tra il 2018 e il 2021, secondo i dati contenuti nel recentissimo Report sugli omicidi volontari curato dal Servizio analisi criminale della Direzione centrale della polizia criminale, resta tragicamente stabile. Si può vedere, infatti, come l’oscillazione massima vada tra 94 e 111 casi.

 

La violenza contro le donne assume però forme diverse, pertanto è opportuno considerare anche altri reati. Il Ministero dell'Interno individua a questo proposito alcuni “reati spia” che analizza in un report periodico. Si tratta di espressioni di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica dirette a una persona a causa del suo essere donna che, per le loro caratteristiche, sono ritenute indicatori pronostici di una potenziale violenza di genere: atti persecutori5; maltrattamenti contro familiari e conviventi6; violenze sessuali7.

La classificazione del Ministero raggruppa nell'unico insieme dei "reati spia" sia le manifestazioni che la Convenzione di Istanbul identifica come proprie della violenza di genere sia quelle che definisce come forme di violenza domestica. Ci sono, però, delle lacune dal momento che la violenza psicologica ed economica non vengono esplicitamente tutelate dal nostro ordinamento giuridico (né, dunque, sono rilevate dai report del Ministero). Esistono inoltre altri delitti riconducibili alla violenza contro le donne: secondo alcuni studiosi e studiose considerare e analizzare esclusivamente i reati spia rischia di limitare il campo della riflessione e dell'intervento.

In occasione dell'edizione 2021 della Giornata per l'eliminazione della violenza contro le donne, l'Istat ha pubblicato un aggiornamento che considera, per esempio, anche le percosse e la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (fattispecie introdotta nel Codice Penale solo a metà del 2019).

Per ricostruire in modo il più possibile esteso e aggiornato la dinamica dei principali delitti legati alla violenza di genere nel corso degli ultimi 5 anni abbiamo scelto di adottare quest'ultima classificazione dell'Istat (aggiornata al 2020) ricorrendo al database generale dell'Istat per un aggiornamento al 2021 dei delitti di percosse e violenze sessuali.

Maltrattamenti, atti persecutori e diffusione illecita di immagini o video non sono presenti singolarmente nel database Istat ma ricadono nella classificazione generica "altri delitti". Questo perchè i dati relativi a questi delitti non fanno parte della fornitura di dati programmata che il Ministero dell’Interno effettua all’Istat annualmente. Si tratta di dati acquisiti dalla stessa fonte per pubblicazioni di carattere episodico o per altri motivi, pertanto non sono regolarmente disponibili. Un aspetto che peraltro fa emergere quanta strada ci sia ancora da fare per rispettare gli impegni della Convenzione di Istanbul in materia di raccolta e diffusione dei dati.

Un ultimo aspetto da sottolineare è che i dati rilevati si riferiscono alle denunce fatte dalle forza dell'ordine all'autorità giudiziaria; questo numero, pur essendo il più affidabile, non rappresenta una stima credibile delle dimensioni effettive del fenomeno poiché per dinamiche psicologiche, sociali e istituzionali collegate al genere e alle relazioni di potere il numero di denunce risulta più basso del numero di violenze effettivamente compiute.

 

Il sistema di protezione e sostegno

In che modo oggi si offre alle donne vittime di violenza un supporto? Il nucleo territoriale è costituito dalla rete di Centri antiviolenza (CAV) e Case Rifugio per donne maltrattate (CR). Sono enti pubblici o privati non profit che offrono servizi specializzati nell'accoglienza delle donne e seguono una metodologia attenta alle questioni di genere. Nati negli anni '70 con la diffusione del femminismo, hanno anticipato di un paio di decenni l’azione governativa. Dal 2017 hanno aderito ai principi della Convenzione di Istanbul.

In totale, le strutture attive in Italia sono 716: 350 Centri Antiviolenza e 366 Case Rifugio. Si tratta di numero che varia molto da regione a regione.

I Centri Antiviolenza sono strutture in cui figure specializzate offrono, anche a titolo volontario, uno spazio di ascolto e accoglienza per le donne che hanno subito violenza. Tramite sportelli e colloqui viene fornita una consulenza specifica per la vittima, che può trovare aiuto da parte di psicologhe, avvocate, mediche e altre professioniste. Per entrare in contatto con i CAV è possibile chiamare il 1522, numero nazionale istituzionale attivo 24h/24, oppure rivolgersi al Centro più vicino (qui la mappa).

 

Le Case Rifugio sono invece strutture fisiche dove le donne vittime di violenza possono essere ospitate insieme ai loro bambini e bambine, per interrompere una violenza in atto. Gli indirizzi sono segreti per tutelare le vittime dai loro abuser. L'accesso alla Casa Rifugio può avvenire tramite segnalazione diretta, se proveniente dalla donna vittima di violenza, o indiretta, se trasmessa da altri servizi intercettati dalla vittima, come CAV, Pronto soccorso, 1522, servizi sociali e Forze dell'Ordine.

I due grafici presentati mostrano, grazie alla scala di colori, il tasso di diffusione di Centri Antiviolenza e Case Rifugio sul territorio in proporzione a 10.000 donne (dati Istat). Se le strutture del sistema antiviolenza hanno l'obiettivo di fornire risposte a quante più persone ne hanno bisogno, è importante valutare l'incidenza del servizio sulla popolazione della regione di riferimento. La proporzione, in media, è pari a circa 0,1 CAV e 0,12 CR per 10.000 donne.

I fondi pubblici e il contributo (imprescindibile) del secondo welfare

Nel sistema antiviolenza, il ruolo del secondo welfare è fondamentale (ne abbiamo scritto recentemente qui) e si concretizza in due aspetti: operativo, da un lato, grazie al contributo del volontariato per il funzionamento delle strutture e dei servizi; economico, dall'altro, visto che i finanziamenti privati vanno a integrare quelli pubblici.

Secondo il rapporto Istat 2022 "Il sistema di protezione per le donne vittime di violenza", le operatrici impegnate per rispondere alle esigenze delle donne che cercano aiuto per uscire dalla loro storia di violenza sono 2.421 presso le Case rifugio e 4.393 presso i Centri Antiviolenza. Di queste, le volontarie sono comunque una larga fetta: nei Centri antiviolenza costituiscono il 49,3% delle operatrici, mentre nelle Case rifugio il 30,8%. La figura volontaria più ricorrente è l'operatrice di accoglienza, figura che crea una relazione simmetrica con le vittime che si presentano al centro e svolge colloqui preliminari per individuare i bisogni e indicare un percorso.

Per quanto riguarda i fondi, invece, nel 51,4% dei casi sono composti da una combinazione tra supporto Pubblico e privato. Il 39,3% riceve esclusivamente finanziamenti pubblici, il 2,7% solo finanziamenti privati.

Ai Centri Antiviolenza e alle Case Rifugio sono destinati finanziamenti pubblici specifici in forma continuata, come previsto dalla Convenzione di Istanbul agli artt. 22 e 23. L'ultimo finanziamento è stato stabilito con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22 settembre 2022. Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 10 novembre 2022, ha definito le linee guida per ripartire i finanziamenti per i Centri Antiviolenza e le Case Rifugio e le tabelle di attribuzione dei fondi. Il Decreto stanzia complessivamente 30 milioni di euro, di cui 15 destinati al finanziamento dei Centri Antiviolenza pubblici e privati già esistenti in ogni regione e 15 alle Case Rifugio pubbliche e private già esistenti in ogni regione.

Riguardo ai fondi pubblici, però, l'anno scorso ActionAid Italia, organizzazione internazionale indipendente che da tempo si sta occupando del tema della violenza contro le donne, ha lanciato una campagna per evidenziare che i ritardi nell'erogazione dei fondi fanno sì che gli interventi statali non siano ancora adeguati a sostenere il sistema antiviolenza.

In occasione dello scorso 25 novembre, grazie al lavoro del suo osservatorio #closed4women, ha pubblicato il report "Cronache di un'occasione mancata. Il sistema antiviolenza italiano nell’era della ripartenza". Secondo il documento le Regioni hanno erogato il 74% dei fondi nazionali antiviolenza delle annualità 2015 e 2016, il 71% per il 2017, il 67% per il 2018, il 56% per il 2019 e il 2% - al 15 ottobre 2021 - per l'annualità 2020. I finanziamenti, negli anni, sono aumentati: vengono destinate più risorse, ma non arrivano in tempi utili. A fronte di questa situazione il sistema antiviolenza può continuare a operare per la tutela delle donne solo grazie al fondamentale contributo operativo delle volontarie e all'apporto economico e organizzativo garantito dal secondo welfare.

Note

  1. Art. 1, Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne
  2. Art. 3.a, Convenzione di Istanbul
  3. Art. 3.b, Convenzione di Istanbul
  4. Art. 11, Convenzione di Istanbul
  5. Art. 612-bis c.p. Categoria introdotta nel 2009 a causa delle difficoltà incontrate nel fronteggiare il fenomeno dello stalking con le antecedenti disposizioni normative. Regola i casi in cui il molestatore non abbia ancora posto in essere comportamenti violenti.
  6. Art. 572 c.p. Comprendono la cosiddetta violenza assistita dei minori, e tutti gli atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale che avvengono all’interno della famiglia.
  7. Art. 609-bis, 609-ter e 609-octies c.p. Si tratta di atti che compromettono la libertà sessuale di una persona. Possono avvenire sia per costrizione, quindi per mezzo di violenza fisica, minaccia o abuso di autorità, sia per induzione, cioè abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della vittima.