82.705. Tanti saranno i lavoratori stranieri che potranno arrivare in Italia nel 2023 grazie al Decreto flussi, il primo approvato dal Governo Meloni poco prima di Natale.

Il provvedimento annuale, che stabilisce le quote massime di cittadini di Stati non UE che possono entrare nel nostro Paese per lavoro autonomo e subordinato, anche stagionale, è un momento cruciale per le politiche migratorie italiane. Lo è perché, stante l’attuale legge sull’immigrazione, è di fatto l’unico modo per arrivare legalmente in Italia per lavoro e, negli ultimi anni, ha assunto ancora maggiore rilevanza per la crescente carenza di manodopera in diversi settori della nostra economia.

Il lavoro migrante, quindi, è importante per l’Italia. Lo è da tempo e ora sembra crescere anche la consapevolezza di questa realtà. Durante i primi lockdown per affrontare il Covid, per esempio, è emerso con chiarezza il ruolo dei migranti in molti settori essenziali della nostra economia. E ora che le conseguenze della pandemia rendono difficile reclutare manodopera cresce il numero di politici e osservatori che propone di aumentare il reclutamento all’estero.

Ma quali sono le condizioni in cui lavorano e, quindi, vivono i cittadini stranieri? E con quali conseguenze per loro stessi e le loro famiglie, innanzitutto, ma anche per le imprese e i territori che li accolgono? “Il nostro modello di inclusione occupazionale è insostenibile dal punto di vista sia economico che sociale”, sostiene Laura Zanfrini, docente di sociologia delle migrazioni all’Università Cattolica di Milano e responsabile Economia e Lavoro della Fondazione ISMU.

Lavoro migrante, diritti e welfare

È il titolo della serie con cui Secondo Welfare vuole approfondire il ruolo di sindacati, associazioni e organizzazioni del Terzo Settore nella promozione di politiche che migliorino le condizioni di lavoro e di vita di lavoratrici e lavoratori stranieri presenti in Italia. Ad oggi ci siamo occupati di quatto settori chiave: agricoltura, lavoro domestico, edilizia e logistica.

Un’immigrazione svantaggiata

La professoressa non nega gli effetti positivi del fenomeno, che anzi conosce bene. La Fondazione Leone Moressa, per esempio, nel suo rapporto annuale, uscito lo scorso novembre, ha usato i dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) sulle dichiarazioni dei redditi 2021 per analizzare il peso della componente immigrata sul totale dei contribuenti del nostro Paese e quantificare, di conseguenza, il contributo fiscale dell’immigrazione. “Nonostante la pandemia abbia determinato un calo nei redditi dichiarati da contribuenti immigrati (-4,3%), il saldo tra il gettito fiscale e contributivo (entrate, 28,2 miliardi) e la spesa pubblica per i servizi di welfare (uscite, 26,8 miliardi) rimane attivo per +1,4 miliardi di euro. Gli immigrati, prevalentemente in età lavorativa, hanno infatti un basso impatto sulle principali voci di spesa pubblica come sanità e pensioni”, scrive la Fondazione.

L’integrazione dei lavoratori stranieri” riprende Zanfrini oltre che per lo Stato “risulta sicuramente vantaggiosa per una serie di attori della società e dell’economia, penso alle famiglie con stranieri che svolgono il lavoro di cura per loro o ad aziende in settori come l’agricoltura, l’edilizia o la ristorazione, solo per citarne alcuni. Ci sono però anche rilevanti criticità”.

A livello sociale, Zanfrini sostiene che la diffusione di precarietà, retribuzioni inadeguate, illegalità e sfruttamento tra i lavoratori stranieri abbiano creato “un’immigrazione svantaggiata da molti punti di vista, a partire da quello retributivo, con conseguenze che si vanno a sommare alla debole condizione patrimoniale delle famiglie migranti”.

Il pane e le rose: come favorire il lavoro dignitoso nel settore domestico

Secondo gli ultimi dati ISTAT, l’incidenza della povertà assoluta tra i cittadini stranieri si è attestata al 32,4% nel 2021, contro un valore pari al 7,2% tra gli italiani (i valori erano rispettivamente del 29,3% e 7,5% nel 2020). “Questo genera conseguenze pesanti, dalla povertà al disagio abitativo, dalla dispersione scolastica fino al rischio di essere coinvolti in episodi di delinquenza giovanile. E accentua la percezione di distanza sociale e culturale”, aggiunge.

A livello economico, invece, i problemi sono di sostenibilità nel medio e lungo periodo. “Molti immigrati lavorano in nero o comunque con redditi molto bassi. Aspettarci che siano queste persone a garantire la sostenibilità del nostro sistema di welfare è illusorio”, ragiona Zanfrini.

“Tra i contribuenti nati all’estero – scrive sempre la Fondazione Leone Moressa – quasi la metà (48,7%) ha dichiarato [nella dichiarazione dei redditi 2021] un reddito annuo inferiore a 10 mila euro”. Ma come si è arrivati in una situazione di questo tipo? Le cause sono diverse. E non tutte riguardano la sola migrazione, ma il mercato del lavoro italiano nel suo complesso.

Non solo “Bossi-Fini”

Gli immigrati ci mostrano problematiche che già esistevano prima del loro arrivo. E che esistono tutt’ora”, ragiona Zanfrini. È il caso, per esempio, del lavoro nero, che è “una piaga atavica” del nostro Paese.

Poi, aggiunge l’esperta della Fondazione ISMU, gli anni in cui l’Italia è diventata un Paese di immigrazione sono stati connotati dall’espansione dei processi di “precarizzazione e a-tipicizzazione” dei rapporti di impiego e i lavoratori stranieri hanno risentito di questi fenomeni, “andandosi a inserire spesso in settori già interessati dalla crescita del ‘cattivo lavoro’, ma anche favorendone l’espansione, grazie alla loro particolare disponibilità e al loro basso salario di riserva”. Zanfrini fa l’esempio dell’agricoltura: “forse sarebbe diversa se non ci fosse tutta questa disponibilità di manodopera straniera. L’immigrazione è diventata un ingranaggio inserito nei problemi strutturali del settore e nello scarso presidio istituzionale dei processi di incontro tra domanda e offerta di lavoro”.

Senza caporali: Terzo Settore e corpi intermedi per il lavoro dignitoso in agricoltura

Per migliorare le condizioni di questi lavoratori e queste lavoratrici, quindi, bisogna agire su diversi livelli. Non solo in agricoltura. Come emerso anche dalla nostra serie “Lavoro migrante”, uno dei punti che molte organizzazioni della società civile sollevano è la riforma della legge sull’immigrazione, la legge 30 luglio 2002, n. 189, meglio nota come “la Bossi-Fini”, dai nomi dei due allora Ministri che la idearono.

Zanfrini è netta. “Togliamoci dalla testa che basti cambiare la legge sull’immigrazione per risolvere tutti i problemi. La legge sull’immigrazione – dice – è un tassello, ma poi ce ne sono tanti altri”. Due sono particolarmente importanti, a suo giudizio: l’altissima incidenza del lavoro nero e la mancanza di servizi pubblici per l’impiego efficaci.

Nel primo caso, servono politiche pubbliche per aggredire i problemi strutturali dei diversi settori economici: controlli, sostegni, defiscalizzazioni, “bastone e carota, per premiare il lavoro di qualità”. Nel secondo caso, “va affrontata la partita dei centri per l’impiego. O li chiudiamo. O li facciamo finalmente funzionare”, dice Zanfrini.

Il ruolo del secondo welfare

Per cambiare la situazione, quindi, servono innanzitutto politiche statali di ampio respiro. Ma anche gli enti del secondo welfare, soprattutto a livello territoriale, possono dare il loro contributo. “​​La politica da sola non può risolvere questi problemi. La società civile può fare tantissimo: l’integrazione la fanno le scuole, le imprese, le associazioni locali, le parrocchie”, riflette Zanfrini.

Diritti in cantiere: come promuovere il lavoro dignitoso nel settore edile

Nell’ambito dei servizi di cura, per esempio, a suo parere, molti interventi passano dagli enti locali in cogestione col terzo settore o dalle imprese tramite il welfare aziendale. “Ci sono ampi margini per favorire legalità e lavoro di qualità”, dice la professoressa, citando come possibili strumenti “elenchi di professionisti della cura certificati oppure erogazioni tracciabili”.

“Anche i sindacati – prosegue – qualcosa hanno fatto: nei loro staff ci sono lavoratori stranieri e questo è meritorio. Incoraggiare la partecipazione è importante”. Non solo. I sindacati, insieme alle associazioni datoriali, costituiscono gli enti bilaterali che, per Zanfrini, “possono fare molto”. Gli enti bilaterali sono organismi paritetici che offrono servizi e prestazioni, dalla formazione all’assistenza sanitaria, ma possono anche occuparsi di intermediazione nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Per la docente della Cattolica, potrebbero lavorare per un reclutamento effettivo dall’estero e poi per garantire percorsi di inserimento ai lavoratori stranieri, dal trovare casa alla formazione: “quella degli enti bilaterali è la sede naturale dove co-costruire soluzioni concrete”.

Lavoratori della logistica: tempo di integrazione, diritti e welfare

Infine, secondo Zanfrini, c’è un “tema culturale di responsabilità”. “L’immigrazione è una materia politicamente insidiosa, sono trent’anni che facciamo i conti con la sua strumentalizzazione. Sappiamo che è un tema politicamente difficile, per questo vanno cercate soluzioni con un ampio livello di condivisione”. Per questo, Fondazione ISMU ha realizzato due volumi dedicati al tema negli ultimi due anni.

Nel settembre 2021, ha pubblicato il “Libro Verde sul governo delle migrazioni economiche”, che contiene una ricognizione della letteratura e della reportistica più recente e una serie di focus group e interviste a esperti del tema e testimoni privilegiati. Ora, invece, appena stato pubblicato un Libro Bianco che propone un ridisegno degli schemi di governo delle migrazioni economiche e delle procedure per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro straniera. Il volume è disponibile sul sito della Fondazione ISMU.

 

Foto di copertina: Adrian Sulyok, Pexels