Come si coniugano le caratteristiche del settore della Long Term Care con i tentativi di riforma in atto e l’evoluzione dei bisogni? Come funzionano nella quotidianità i servizi residenziali, stante i vincoli normativi sul personale? Come viene interpretata la gestione delle risorse umane dai gestori? Quali sono le piste di lavoro su cui concentrarsi per promuovere il rinnovamento del settore e gestire la crisi del personale? Sono le quattro grandi domande attorno al quale si articola il 5° Rapporto dell’Osservatorio Long Term Care di Cergas SDA Bocconi, promosso da Essity, intitolato “Il personale come fattore critico di qualità per il settore Long Term Care“.

Le attività di ricerca hanno risposto a queste domande, sinteticamente riportate in questo articolo, grazie alla raccolta e analisi di evidenze che illustrano come il cambio di passo nel mondo LTC richieda il riconoscimento del personale quale fattore di qualità, e non di costo, nei servizi. I risultati proposti si basano su dati primari forniti dai gestori dei servizi per anziani che aderiscono all’Osservatorio Long Term Care.

Il Focus di Secondo Welfare sulla non autosufficienza

Ci stiamo occupano sistematicamente di Long Term Care con articoli e interviste che aiutino a capire meglio le diverse questioni che riguardano la LTC in Italia e, in particolare, il processo di riforma in atto. Sono tutti qui.

Il settore LTC, tra evoluzione dei bisogni e tentativi di riforma

Il Rapporto si apre con un aggiornamento della fotografia dei dati riferiti al settore LTC per l’assistenza agli anziani, dando il quadro nazionale dei numeri relativi a offerta di servizi, fabbisogno potenziale, servizi erogati, cura informale e caratteristiche dei gestori. Ancora una volta, è evidente l’esigenza di avere dati migliori e più recenti, utili non solo per le ricerche ma per chi fa le politiche pubbliche per prendere decisioni. Le ultime rilevazioni ISTAT e Ministero della Salute riguardano gli anni 2020 e 2019, con uno scarto temporale di 3 anni dal momento in cui sono pubblicati.

Risposte del welfare pubblico

Utilizzando i dati ISTAT, nel 2020 le persone over 65 non autosufficienti erano 3.935.982, pari al 28,4% della popolazione over 65. Complici le chiusure e interruzioni dei servizi imposte della pandemia da Covid-19, nel 2020 sono diminuiti gli utenti in carico ai servizi pubblici, segnando -24% sui centri diurni, -12% sulla residenzialità socio-sanitaria e -2% sull’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI). La risposta data dal welfare pubblico agli anziani non autosufficienti è stata di conseguenza parziale e ancora più limitata che in passato: infatti, solo il 6,3% degli anziani ha trovato risposta in una struttura residenziale, lo 0,6% in centri semi-residenziali, il 21,5% tramite ADI, la cui intensità media si è assestata su 15 ore annue per assistito.

La cura informale

Osservando il mondo della cura informale, altro pilastro dell’assistenza agli anziani non autosufficienti, per il 2021 la stima aggiornata del numero di badanti – regolari e irregolari – è di 1.128.428 individui. In termini di incidenza percentuale questo implica la presenza di 1 badante ogni 15,77 cittadini over 75, segnando +10% rispetto al 2019, anche in relazione agli effetti del cd. Decreto Rilancio (DL 34/2020).

L’offerta dei gestori

Guardando ai gestori dei servizi e alle loro caratteristiche si evince che dopo la pandemia si sono orientati sempre più alla residenzialità, facendo un passo indietro rispetto al tentativo precedente di innovare l’offerta (il 59% del loro fatturato è relativo a servizi residenziali). Inoltre, si è ridotto rispetto al passato lo spazio del mercato privato: il 91% del fatturato dei gestori deriva da servizi in convenzionamento e accreditamento. Complessivamente, assistiamo ad un “arroccamento” dei gestori nel mercato tradizionale, dopo gli sconvolgimenti generati dalla pandemia.

Tentativi di riforma e senior living

L’evoluzione dei bisogni si intreccia con due tendenze che, con tempi e obiettivi diversi, potrebbero segnare il futuro dei servizi di Long Term Care: le iniziative di riforma promosse nel 2022 e la graduale diffusione del senior living. Con riferimento alle prime, registriamo l’importante lavoro confluito nello Schema di Disegno di Legge Delega sulla riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti presentato a ottobre 2022 dal Governo Draghi (e ripresentato nel gennaio 2023 dal Governo Meloni), tuttavia il quadro che si configura lascia pochi spazi di manovra per l’innovazione dei servizi per anziani, rispetto ai quali si è detto e fatto poco. Rispetto al senior living, registriamo come il periodo 2020-2021 è stato caratterizzato da una riscoperta del comparto anziani da parte di investitori privati, soprattutto da soggetti del mondo immobiliare: una tendenza che è bene tenere a mente perché nel prossimo futuro potrebbe diventare una opzione che va ad allargare il panorama delle opportunità per le famiglie, anche rivolgendosi a un target oggi completamente escluso dall’offerta di servizi esistente.

La quotidianità dei servizi residenziali e il ruolo del personale

Le Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) sono distribuite in maniera disomogenea sul territorio nazionale, con una concentrazione dei posti letto nelle regioni del Centro-Nord, determinando una forte iniquità di accesso per i cittadini nelle diverse regioni. A questo si aggiunge una disomogeneità nei modelli di residenzialità per anziani sviluppati dalle regioni, la cui analisi è stata il cuore delle attività di ricerca 2022.

Le diverse normative regionali

Analizzando la normativa dedicata di 12 Regioni emerge una variabilità delle regole relative alle RSA, degli standard assistenziali richiesti, delle tariffe, dei criteri di classificazione degli ospiti. Questo rende il settore la sommatoria di soluzioni contingenti, senza nessuna razionalità di sistema e possibilità di replicare buone prassi. Rispetto al contenuto dei servizi, emergono tre diversi gruppi di Regioni:

  • Quelle che definiscono una RSA “molto orientata alla sanità pura” (Lazio, Sardegna)
  • Quelle che definiscono una RSA “ibrida”, modello a cavallo tra socio-sanitario, lungodegenza e riabilitazione (Friuli-Venezia-Giulia, Liguria, Marche, Puglia, PA Trento)
  • Quelle che definiscono una RSA prettamente socio-sanitaria (Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte, Toscana, Veneto)

La metà delle Regioni non adotta classificazioni specifiche per gli ospiti in RSA, denotando una difficoltà a individuare i profili di fabbisogno cui sono vocati i servizi. Le tariffe per i moduli a più alta intensità assistenziale spaziano da un minimo di 30 euro al giorno ad un massimo di 87,7 euro al giorno. I minuti assistenziali previsti al giorno per assistito per i moduli a più alta intensità spaziano da un minimo di 17 a un massimo di 62 per gli infermieri, da 77 a 206 per gli Operatori Socio Sanitari (OSS). Mediamente è richiesto un infermiere ogni 5,6 OSS, ma la variabilità tra Regioni spazia da contesti dove ne troviamo 1 ogni 3,3 per le alte intensità o 1 ogni 9 per le basse intensità.

L’organico effettivo delle RSA

Se questo è il quadro che emerge dall’analisi della normativa, lo sforzo fatto nel Rapporto è stato di incrociare i dati di policy con numeri originali e inediti forniti dai gestori, che indicano come gli standard “normativi” vengano declinati e realizzati nelle aziende del settore, illustrando i dati aziendali sulle dotazioni effettive di organico per infermieri e OSS.

Le aziende hanno mediamente dotazioni di organico maggiore di quanto richiesto dalle norme: il nostro campione mostra una media di un infermiere ogni 5,1 OSS (dato 2021). Attenzione però: nel 2019 questo dato era pari a 1 ogni 4,8, denotando come il personale “extra-standard” si stia assottigliando. Inoltre, la variabilità tra aziende è altissima: passiamo da contesti con 1 infermiere ogni 7,7 OSS fino a 1 infermiere ogni 2,5 OSS. Prevalgono le assunzioni a tempo indeterminato ma aumentano le forme di tempo determinato e partita iva. Si riduce invece il ricorso a formule di somministrazione di lavoro. Il costo lordo aziendale medio per un OSS considerando un FTE è stato nel 2021 pari a 31.732 euro annui, per un infermiere pari a 40.483 annui. Rispetto alla retribuzione media, considerando il personale in termini di FTE, registriamo nel 2021 una retribuzione annua media (RAL media) per gli OSS di 23.391 euro e per gli infermieri di 29.471 euro.

La carenza di personale

In questo quadro, i gestori continuano a segnalare la carenza di infermieri registrata nei servizi socio-sanitari per anziani nel 2022, in media pari al 21,7% (sei mesi prima, a fine 2021 era del 26%). La carenza di personale medico era del 13% (invece del 18% di fine 2021) e quella di OSS era del 10,8% (invece del 15% di fine 2021). Questi dati sono più alti se guardiamo solo agli enti del Terzo Settore, dove arrivano a 23,9%, per gli infermieri, 14,6% per medici, 12.6% per OSS. Il 61,7% degli infermieri ha lasciato le RSA per nuovi contratti di lavoro nel comparto sanitario ospedaliero o territoriale. A causa della crisi del personale: il 90% delle aziende riporta che i costi del personale sono aumentati; il 62% che il risultato di bilancio è peggiorato; il 74% dice che il burn out dei dipendenti è aumentato e che la qualità dei servizi è peggiorata.

La gestione delle risorse umane

Successivamente, il Rapporto indaga cosa voglia dire oggi “gestione del personale” nel settore socio-sanitario, sia in termini di funzione aziendale dedicata, che di strategie adottate per fronteggiare la crisi esistente.

Ad oggi la funzione risorse umane nelle aziende ha svolto prevalentemente attività dal carattere principalmente “amministrativo”, sono poco diffuse pratiche di performance management, sviluppo di carriera, valorizzazione del personale. Le aziende percepiscono tre grandi vincoli alla gestione del personale che opera nelle RSA: la normativa regionale e gli standard di servizio a essa collegati (91% delle risposte); l’assenteismo degli operatori per malattia, sostituzioni o altro (78% delle risposte); le tipologie di contratto del settore (70% delle risposte).

Rispetto ai cambiamenti a livello di sistema che le aziende chiedono invece: richiesta di una revisione delle tariffe; riduzione del costo del lavoro, la revisione degli standard del personale e l’introduzione di nuove figure professionali (come, ad esempio, i cosiddetti “Super OSS” o gli “infermieri generici”).

Come rinnovare il settore LTC e gestire la crisi del personale?

L’invecchiamento è la più grande sfida del welfare italiano per numerosità di cittadini per la quale è rilevante. Il welfare pubblico è residuale nel darvi risposta e non ha prodotto al momento una visione di cambiamento, e le Regioni hanno prodotto negli anni delle regole e norme eterogenee tra territori sulla Long Term Care. Questa eterogeneità rischia di trasformarsi in disordine e complessità in momenti (come questo) in cui crisi che sono di caratura nazionale (come quella del personale) non trovano risposte di policy univoche ma si scontrano con la parzialità e l’eterogeneità dei sistemi regionali.

Lato servizi, il settore sta attraversando una crisi del personale che non può essere derubricata a “mancanza o scarsità di un fattore produttivo”, al pari di quanto si discute oggi per alcune materie prime in altri mercati. Nel 2021 e nel 2022 la responsabilità di gestire la carenza del personale sia stata scaricata a valle, sui gestori e sui servizi. In risposta ad una crisi strutturale i gestori hanno attivato risposte gestionali differenziate, che se non coordinate rischiano nel medio periodo di frammentare ulteriormente il settore e creare disparità ed eterogeneità territoriali.

Di questo dovrebbero però preoccuparsi le politiche pubbliche che invece fino ad oggi hanno alimentato esattamente questa stessa disparità ed eterogeneità. I dati mostrano che un modo diverso di gestire il personale è possibile ma serve un investimento in una duplice direzione: ripensare i servizi in funzione anche delle nuove necessità dei professionisti e operatori e investire ancora di più sulle persone.