4 ' di lettura
Salva pagina in PDF

Blockchain e Terzo Settore. Al Politecnico di Milano hanno unito questi due elementi in un esperimento tra i primi in Europa. Non è facilissimo da capire, ma aiuta a immaginare come le organizzazioni non profit potrebbero usare questa tecnologia in rapida espansione.

Le garanzie di trasparenza che la blockchain offre sono molto elevate”, spiega Francesco Bruschi, entusiasta direttore dell’Osservatorio Blockchain & Web3 del Politecnico di Milano, che ha promosso l’iniziativa. “Grazie al suo potere abilitante – aggiunge – si aprono possibilità infinite”. E l’obiettivo dell’esperimento era proprio mostrarne concretamente alcune, come raccogliere donazioni o gestire votazioni in totale trasparenza, due azioni che gli enti del terzo settore compiono spesso.

L’iniziativa si è tenuta durante un convegno dell’osservatorio. Per comprenderla, è bene partire dall’inizio, per seguirla passo dopo passo. O meglio, parola per parola. E la prima non può che essere blockchain.

Blockchain

Qui su Secondo Welfare, avevamo già spiegato che la blockchain è una sorta di “registro digitale condiviso in cui si tracciano le transazioni di dati in modo che non possano venire alterati”.

L’osservatorio del Politecnico, precisa, che si tratta di “un insieme di tecnologie” che hanno sette tratti in comune:

  • digitalizzazione, ovviamente;
  • decentralizzazione – le informazioni vengono registrate distribuendole tra più nodi per garantire sicurezza informatica e resilienza dei sistemi;
  • tracciabilità dei trasferimenti – ciascun elemento sul registro è tracciabile in ogni sua parte e se ne può risalire all’esatta provenienza;
  • disintermediazione – le piattaforme consentono di gestire le transazioni senza intermediari, ossia senza la presenza di enti centrali fidati
  • trasparenza e verificabilità – il contenuto del registro è trasparente e visibile a tutti ed è facilmente consultabile e verificabile
  • immutabilità del registro – una volta scritti sul registro, i dati non possono essere modificati senza il consenso della rete
  • programmabilità dei trasferimenti – possibilità di programmare determinate azioni che vengono effettuate al verificarsi di certe condizioni

La blockchain – spiega Bruschi – è una specie di cloud con caratteristiche speciali: è completamente trasparente. Il codice delle applicazioni che carichi sulla blockchain non può essere cambiato ed è visibile a tutti. Certo, c’è chi lo capisce e chi no”, dice il professore ammettendo che sono necessarie competenze oggi non ancora così diffuse.

Smart contract

Sulla blockchain, come su un computer o, appunto, su uno spazio cloud, possono essere caricate delle applicazioni, cioè dei programmi. Sono gli smart contract, che in italiano sarebbero, letteralmente, dei “contratti intelligenti”: programmi che sulla blockchain eseguono azioni specifiche in base a determinate condizioni.

Per realizzare l’esperimento legato al Terzo Settore, il team di Bruschi ha raccolto 4.000 euro di donazioni da sponsor e privati, ha coinvolto cinque realtà di volontariato (Banco Alimentare, The Circle, Save The Children, TOG, I Sempre vivi) e, quindi, ha realizzato uno smart contract che consentisse di automatizzare e rendere completamente tracciabili tre azioni, sostanzialmente:

  1. La raccolta dei fondi;
  2. La votazione tra i partecipanti al convegno dell’osservatorio su quale delle cinque realtà di volontariato avesse dovuto ricevere la quota più elevata dei fondi raccolti;
  3. La distribuzione dei fondi alle organizzazioni in base ai criteri stabiliti (alla fine, si è trattato di 1.300 euro circa al primo classificato e 650 euro circa ai quattro successivi).

NFT

Le votazioni avvenute durante l’esperimento sono state possibili grazie a degli NFT. La sigla sta per Non fungible token, un certificato che identifica in modo univoco un prodotto digitale di qualsiasi tipo (ve ne avevamo parlato qui). I partecipanti hanno espresso la loro preferenza tramite un’app, MetaMask, che si definisce “un portale per le applicazioni blockchain” e che, spiega Bruschi, “consente di avere facilmente un’identità crittografica, necessaria perché una persona sia sulla blockchain”.

La raccolta dei fondi e la loro distribuzione, invece, è stata effettuata con un altro tipo di token, che sono ancorati al valore del dollaro e che possono essere convertiti in denaro reale, aspetto fondamentale, anche se non immediato dal punto di vista tecnico, per gli enti del Terzo Settore che hanno partecipato all’iniziativa.

DAO

L’esperimento, per come l’abbiamo spiegato finora, si configura come una DAO, una Decentralized autonomous organization, ossia un’organizzazione decentralizzata autonoma che utilizza la tecnologia blockchain per gestire il suo funzionamento. “È una delle primissime volte in Italia e in Europea che una DAO viene sperimentata in questo modo”, dice Bruschi.

Una schermata tratta dal sito polygonscan
Una schermata tratta dal sito polygonscan (clicca per ingrandire)

Ma perché tanto entusiasmo? Secondo il direttore dell’osservatorio, i vantaggi che questa tecnologia offre sono numerosi. “La stessa operazione, fatta senza blockchain, avrebbe costi e complessità molto maggiori e una trasparenza comunque inferiore”, sostiene. “Con questo strumento, si può verificare tutto, passo per passo. Quando sono stati mandati i soldi? Chi li ha mandati? Hanno votato? Tutti possono controllare in modo accessibile”.

Tutte le donazioni e le votazioni, infatti, possono essere consultate on line liberamente.

Basta sapere come fare.

Nel nostro caso, si accede tramite il sito polygonscan e compare una lista con azioni, date, orari, scelte di voto o entità delle donazioni, identità digitale di chi le ha compiute”, prosegue il professore. Certo, l’operazione oggi è molto complessa per i non addetti ai lavori, ma a Bruschi non pare un ostacolo insormontabile. “Anche le leggi che vengono approvate in Parlamento sono difficili da capire per una persona comune. Il punto è affidarsi ad addetti ai lavori validi e indipendenti”, sostiene.

E quindi?

Rimane però la domanda. Questa tecnologia può essere realmente applicata dagli enti del Terzo Settore che, a questo esperimento, hanno partecipato solo come beneficiari?

L’esperimento voleva dimostrare innanzitutto che oggi esistono delle tecnologie che consentono di fare delle azioni in modo nuovo, con tutta una serie di vantaggi, anche in campo benefico”, ragiona Bruschi.

Il professore cita campagne di raccolta fondi di vario tipo, tra cui soprattutto i crowdfunding, ma anche votazioni di diversa natura o la gestione di beni comuni. “L’elemento più ingenuo che mi viene in mente da non esperto di Terzo Settore è la trasparenza, ma le applicazioni possono essere infinite”, si appassiona Bruschi.

L’esperimento dell’Osservatorio Blockchain & Web3 spera di aver spinto qualche ente a ragionarci sopra. Certo, molto dipenderà anche dalla diffusione dello strumento blockchain e delle competenze necessarie per sfruttarne al meglio le potenzialità. Secondo Bruschi, “si diffonderanno rapidamente”. “Oggi, per un ente non profit è normale rivolgersi a un professionista per fare un sito web. Presto – conclude ottimista – sarà lo stesso anche per gli smart contract”.

Foto di copertina: CHUTTERSNAP, Unsplash