Il lavoro di cura, retribuito e non, è svolto prevalentemente dalle donne. Il dibattito pubblico e accademico che concerne il lavoro di cura gravita attorno a diverse questioni: le risposte del welfare pubblico, i nuovi bisogni sociali, la partecipazione lavorativa femminile e le politiche di conciliazione vita-lavoro. Il tema ha inoltre alimentato la discussione sulla divisione internazionale del lavoro, guardando alla stratificazione dei diritti e delle relative opportunità (sociali, relazionali, lavorative) su scala globale. Le c.d. “badanti” sono un esercito silente: assente dal dibattito pubblico e dall’agenda di governo

Il volume Le migrazioni femminili in Italia. Percorsi di affermazione oltre le vulnerabilità, curato da Maria Paola Nanni, Ginevra De Maio e Benedetto Coccia ed edito dal Centro Studi e Ricerche IDOS e dall’Istituto di Studi Politici “San Pio V” rilegge l’immigrazione in Italia dal punto di vista delle donne, offrendo una visione articolata e declinata in un’ottica di genere.

Il volume, presentato martedì 28 febbraio a Roma, spazia dalla dimensione storica all’attualità, con specifica attenzione ai flussi e alle presenze di ieri e di oggi, alle migrazioni forzate, all’inserimento occupazionale e ai percorsi di inclusione e partecipazione (qui una scheda si intesi).

A legare tra loro i numerosi capitoli sono due approcci interpretativi, quelli dell’“affermazione” e della “vulnerabilità”: l’uno riconosce e rimarca il protagonismo e la carica emancipatoria delle migrazioni femminili mentre l’altro segnala la pervasività delle condizioni di svantaggio insite nell’esistenza delle donne migranti, esposte all’azione simultanea e intersezionale di molteplici e diversificate forme di esclusione e subordinazione (connesse alle differenze di genere, allo status giuridico, alla provenienza geo-culturale, alla condizione socio-economica). Spezzando la netta contrapposizione tra “affermazione” e “vulnerabilità”, il volume propone una “prospettiva di analisi plurale e multisituata, che cerca di cogliere la polivalenza delle esperienze delle donne migranti, in continua tensione tra polarità opposte e, spesso, compresenti”.

Un invito, dunque, a riconoscere la varietà e complessità dei percorsi migratori femminili e a guardare alle migrazioni e alle relative politiche con l’obiettivo di colmare “sempre meglio i vuoti di comprensione e di tutela”.

Nel volume è presente anche un capitolo intitolato “La cura informale di fronte alla sfida della pandemia: donne, migrazioni e caregiving”, con cui abbiamo voluto ricostruire il quadro del lavoro di cura privato a domanda individuale in Italia e ripercorre le caratteristiche del welfare informale in Italia, concentrandosi sul fenomeno della femminilizzazione delle migrazioni, sul ruolo che le donne ricoprono nel settore della cura e sull’impatto della pandemia sul settore. Di seguito riportiamo una sintesi dei principali contenuti del capitolo.

Il welfare informale, tra nuove rischi e bisogni sociali

L’evolversi delle relazioni sociali e della famiglia, unitamente al calo della natalità e all’aumento dell’invecchiamento, hanno contribuito a modificare profondamente le caratteristiche dei nuovi rischi e bisogni di protezione sociale. Sul fronte della domanda assistiamo, ormai da più di un decennio, ad un progressivo invecchiamento della popolazione. Affiancato, inoltre, da un preoccupante tasso di denatalità. Per citare qualche dato, dal 2002 ad oggi, l’indice di vecchiaia1 è aumentato di circa 50 punti (da 142,1 nel 2002 a 187,9 nel 2022). E, tra il 2040 e il 2060, gli anziani raggiungeranno il 33% della popolazione, una persona su tre (attualmente è il 23%). Parallelamente, il tasso di fecondità (numero medio di figli per donna) è pari a 1,25 ed è diminuito quasi costantemente negli ultimi 10 anni (Dati Istat).

Cura degli anziani: meglio l’assistente familiare della RSA

Le dicotomie Stato-mercato e Stato-famiglia appaiono impreparate a cogliere la portata di tali trasformazioni e delle loro ricadute sull’intero sistema di protezione sociale, sia sul fronte della domanda sia dell’offerta. Le grandi assicurazioni sociali – contro la perdita del lavoro, la malattia, l’infortunio, l’avanzare dell’età, consolidatesi negli anni della Golden Age e del welfare fordista – oggi non sono più in grado di affrontare la convergenza tra mutamenti sociali e istituzionali. In un contesto in trasformazione – a cui, tuttavia, non è seguita una sostanziale ricalibratura della spesa e dei servizi – nuovi sistemi di erogazione dei servizi si sono fatti strada nel comparto assistenziale, secondo logiche di prossimità e di vicinanza, fondate su reti informali, volti a supportare il lavoro di assistenza e di cura. In aggiunta, e spesso in sostituzione, il c.d. welfare informale – o “fai-da-te” – vede le famiglie farsi carico direttamente dei problemi di assistenza, anche sotto il profilo economico, attraverso la spesa out-of-pocket e la sottoscrizione di polizze sanitarie individuali

Tali mutazioni sociali e socio-assistenziali richiamano un importante tema di sostenibilità economica. Il Rapporto pubblicato dalla Ragioneria dello Stato del 2021 evidenzia che le indennità di accompagnamento costituiscono la porzione più rilevante della spesa per la Long Term Care e circa lo 0,8% del Pil. Coerentemente agli andamenti demografici, il rapporto tra spesa per l’Indennità e Pil è destinato a crescere: il rapporto tra numero di indennità e occupati passerà, nel periodo 2026-2070, dal 9,1% al 13,4%. Fino al 2050, tale dinamica è indotta dall’aumento dell’incidenza della popolazione anziana (70 anni e oltre) rispetto a quella in età di lavoro. Il mercato privato della cura – formale e informale – rappresenta dunque un tema centrale a livello politico, sociale ed economico.

Il fenomeno del “badantato”: i numeri

Gli elevati fabbisogni assistenziali – coperti principalmente dalle famiglie – trasferiscono una parte del lavoro di cura a circa 1 milione di badanti, con una spesa annua per retribuzione stimata dal Censis (2019) a circa 9 miliardi di euro. La stessa indagine del Censis riporta che il 75,6% degli italiani, e il 77,3% tra gli anziani, richieda più agevolazioni fiscali per l’assunzione di badanti. Il badantato è quindi un pilastro fondamentale del sistema di cura italiano. La stima del numero di lavoratori/trici domestici/che regolari e irregolari in Italia è di circa 1 milione e 95 mila individui (Osservatorio Domina, 2021).

In termini di incidenza percentuale, è presente una badante ogni 15,57 cittadini over 75 oppure oppure ogni 36,81 cittadini over 75 non autosufficienti. Il bacino di lavoratori che contribuiscono al settore informale della cura è prevalentemente quello delle donne straniere. Secondo le rielaborazioni effettuate dall’Osservatorio Domina (2021), i lavoratori domestici, nel 2020, erano 2,1 milioni; in aumento del 7,5% rispetto al biennio precedente. Solo 921.000 di essi sono regolari: circa 1,1 milione di lavoratori domestici non hanno invece un contratto registrato. Il tasso di irregolarità è il 57%, superiore alla metà dei lavoratori coinvolti nell’ambito della cura domestica. Il 47,5% di essi lavorano come badanti, la restante parte (52,3%) è impiegato come colf. 

Il pane e le rose: come favorire il lavoro dignitoso nel settore domestico

Più nel dettaglio, circa l’84,9% del totale dei lavoratori sono donne, prevalentemente in una fascia di età compresa tra i 30 e 59 anni. Le donne straniere hanno registrano un calo tra il 2012 e il 2019, perdendo quasi 115 mila unità in sette anni (-18%). Nel 2020 si è invertita la tendenza, registrando un aumento del +4,9% (+26 mila unità); nel 2021 il numero si è mantenuto sostanzialmente invariato. Le donne italiane sono invece in crescita progressiva dal 2012: complessivamente, in nove anni, il numero è passato da 180 mila a 263 mila (+46%). Tra gli uomini, invece, gli italiani sono raddoppiati dal 2012 al 2021, passando da 13 mila a 25 mila, seguendo di fatto la tendenza delle donne italiane. Gli uomini stranieri, al contrario, hanno registrato un netto calo tra il 2012 e il 2014 (-40% in soli due anni) e poi proseguito il calo fino al 2019, anche se con ritmi meno intensi (-32% tra il 2014 e il 2019). Un’importante trasformazione è stata incentivata dalla procedura di regolarizzazione introdotta tra il 2020 e il 2021. I cambiamenti nei trend andrebbero letti alla luce dell’introduzione di tale misura.

Più della metà dei lavoratori domestici proviene dall’Europa dell’Est (51,2%) seguiti da coloro che provengono da Asia orientale (10,4%), America del Sud (10,7%), Filippine (10%) e Africa del Nord (7,1%). Un fenomeno di interesse e legato alla “femminilizzazione” dei flussi migratori è quello del “care drain”. Le migrazioni femminili innescano cambiamenti che riguardano l’intero regime della cura, sia nei Paesi di accoglienza che in quelli di origine. Il c.d. care drain (o vuoto di cura) si riferisce al gap che si crea nei Paesi d’origine quando la donna lavoratrice emigra verso altri Paesi. I flussi migratori hanno un impatto su tutti i livelli del c.d. “fiore del welfare” – famiglia, Stato, Terzo Settore e Mercato -, determinando la necessità di ricomporre nuove geografie della cura. In questo quadro, il care drain riconduce al trasferimento internazionale del lavoro di cura e fa riferimento al cerchio tra donne dei Paesi accoglienti che acquistano lavoro di cura e donne migranti che si affidano ai propri familiari (o a donne ancora troppo povere per emigrare) in patria per prendersi cura dei propri cari.

Perseguire il cambiamento: pandemia, caregiving e prospettive future

La pandemia ha inflitto un duro colpo al settore della cura e dell’assistenza degli anziani. Ha aggravato il carico di cura a seguito dell’interruzione di molti servizi domiciliari, di centri diurni e centri semiresidenziali, aumentando l’isolamento dei caregiver e peggiorando ulteriormente la loro qualità di vita. Tra le misure di sostegno dell’economia nazionale nel maggio 2020 è stata promossa la sanatoria per la regolarizzazione del lavoro irregolare (Decreto “Rilancio”, art. 103). Considerate le risorse messe a disposizione e le condizioni vantaggiose per i datori di lavoro, l’85% delle domande presentate ha riguardato la regolarizzazione dei lavoratori domestici. Da un’indagine di Pasquinelli e Pozzoli (2021), tuttavia, emerge come la regolarizzazione abbia riguardato anche altri profili lavorativi, evidenziando forti discrasie rispetto al profilo “tipico” delle badanti che generalmente operano in Italia.

La sanatoria ha consentito l’aumento del 6,5% delle badanti regolari tra il 2019 e il 2020 (la precedente sanatoria, tra il 2011 e il 2012, aveva determinato un incremento del 17,9%). Le caratteristiche delle procedure di emersione hanno incentivato la regolarizzazione degli uomini stranieri, che hanno presentato più domande rispetto alle donne. Ciò può essere dovuto al fatto che, limitando fortemente i settori ammissibili (nel 2020 agricoltura e lavoro domestico), questi hanno rappresentato una sorta di “porta d’ingresso” anche per altri lavoratori. Tuttavia, la spinta alla regolarizzazione provocata dalla pandemia si è pressoché esaurita. L’effetto della sanatoria si è rivelato risibile: si è riaffermata la proporzione “60/40”, secondo cui oggi sono in regola solo circa il 40% degli assistenti familiari. La somma di colf e badanti registrata all’Inps arriva a 961.000 unità: il totale reale, invece, si avvicina ai due milioni.

Come ripensare i modelli europei di Long Term Care dopo il Covid

Per concludere, il mercato delle badanti presenta un basso turn-over, invecchia e ha grandi vincoli sul fronte della crescita, a causa di assenza di flussi migratori regolari e regolati. Al contempo, si scontra con una domanda di lavoro mutevole, che si trasforma nelle reti pubblico-private e familiari. A fronte di un progressivo invecchiamento della popolazione, le badanti sono a loro volta sempre più anziane e parte integrante della nostra società. Si tratta, tuttavia, di un mercato segmentato: per provenienza, età, genere, tra disponibilità oraria o co-residenza, tra chi è assunto e chi è irregolare (e, quindi, tra chi ha delle tutele lavorative e sociali e chi non le ha).

Un intervento strutturale dovrà mirare ad intervenire sui fattori-chiave per l’emersione e la qualificazione del lavoro di cura: la riapertura (regolata e selettiva) di una immigrazione per motivi di lavoro; incentivi alla regolarizzazione attraverso un diverso sistema fiscale; una riforma dell’assistenza domiciliare pubblica, che va potenziata, estesa, collegata al lavoro privato di cura; una nuova e diversa indennità di accompagnamento, che non perda gli elementi di garanzia e universalismo oggi comunque assicurati.

Anche alla luce delle indicazioni previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) in merito alla realizzazione di una riforma che introduca “un sistema organico di assistenza agli anziani non autosufficienti” in Italia, il tema del caregiving potrà essere oggetto di una riforma strutturale nel nostro Paese. L’iter legislativo è attualmente in corso: la parte dedicata all’assistenza – formale e informale – andrà rafforzata in vista dell’approvazione del Disegno di Legge Delega a marzo 2023 e restano dunque margini per un intervento migliorativo del settore.

Riferimenti

Note

  1. Indice che esprime il rapporto tra la popolazione di 65 anni e oltre e la popolazione di età 0-14 anni, moltiplicato per 100.
Foto di copertina: StockSnap da Pixabay.