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Dopo il primo articolo dedicato al processo di mappatura, continuano gli approfondimenti proposti dal gruppo di ricerca di WePlat, che sta studiando le piattaforme di welfare italiane.

La letteratura sulle piattaforme tende ad analizzarle come un corpus omogeneo, individuando una azienda come esemplare di un modello.

È quanto accaduto anche in passato nell’individuazione dei modelli organizzativi: Ford per l’organizzazione scientifica del lavoro, Toyota per la produzione snella, Nike per la delocalizzazione e le catene del valore, McDonald per la razionalizzazione del lavoro nella società globalizzata eccetera.

Per le piattaforme di lavoro, l’azienda di riferimento è Uber. Si parla infatti di uberizzazione per indicare il fatto che la logica organizzativa introdotta da Uber sia stata replicata da aziende piattaforma in altri settori e che potrebbe essere adottata anche da aziende non basate su piattaforma.

La logica di piattaforma: caratteristiche distintive

La logica di piattaforma presenta alcuni tratti distintivi. Le piattaforme seguono la logica del vincitore-prende-tutto (winner-takes-it-all) e si basano su finanziamenti di rischio (venture capital) per creare economie di scala che permettano loro di raggiungere posizioni di monopolio o oligopolio. Basano dunque sulla crescita la propria fonte di legittimazione, che è fortemente legata alla valorizzazione finanziaria e commerciale dei dati come asset principale.

L’autorità delle piattaforme si fonda su un nuovo regime di controllo manageriale, il cosiddetto management di tipo algoritmico: operando come regolatore privato, la piattaforma definisce norme di organizzazione del lavoro, spesso opache, incorporate in sistemi di controllo automatizzato alimentati dai dati reputazionali prodotti dagli utenti – siano essi clienti o lavoratori – e organizzati attraverso un’infrastruttura algoritmica. In questo modo, l’esercizio del controllo è decentrato sugli utenti, ma il potere resta centralizzato.

Infine, le piattaforme costruiscono la propria strategia sulla base di un processo di infrastrutturazione, che consente il matching tra domanda e offerta, attraverso il coinvolgimento di operatori con cui non stipulano un contratto di lavoro, ma che vengono trattenuti in piattaforma attraverso meccanismi di disincentivo all’uscita (lock-in).

L’ibridazione tra logiche nelle piattaforme di welfare

La mappatura delle piattaforme di welfare in Italia ci ha restituito non solo un’ampia numerosità di piattaforme, ma anche modelli organizzativi diversificati.

Tra i nostri casi c’è ad esempio una piattaforma multinazionale che si propone di facilitare l’incontro tra domanda e offerta nei servizi di assistenza ai bambini che adotta alcune logiche di piattaforma (meccanismi reputazionali, regime di visibilità della domanda e dell’offerta) ma ha deciso di non rivolgersi ai venture capital per poter crescere in modo più graduale. Un’altra piattaforma, che offre consulti medici online, non ha implementato un sistema reputazionale, perché ritiene che nel lavoro professionale debba prevalere il giudizio esperto dei pari su quello profano dei pazienti.

Un tratto che accomuna le piattaforme di welfare da noi prese in esame e che le allontana dalla logica standard di piattaforma è la mancata valorizzazione commerciale dei dati. Questo dipende dalle specificità del settore, in particolare rispetto ai dati sanitari, che in Europa sono soggetti a protezione.

Sono poche le piattaforme che si ispirano al modello piattaforma rappresentato da Uber e anche in questi casi si registra una forte ibridazione tra questa logica istituzionale e quelle tradizionali: gerarchia, mercato e rete.

Piattaforme che creano gerarchie

I casi di ibridazione più interessanti riguardano le piattaforme che creano gerarchie. Solitamente, nel lavoro di cura i professionisti sono isolati: gli psicoterapeuti ricevono i pazienti in studi individuali o in piccoli studi associati, badanti e babysitter lavorano nelle case dei propri assistiti e così via. Le piattaforme possono quindi favorire l’aggregazione di operatori altrimenti dispersi.

Tra i nostri studi di caso, una piattaforma per consulenze psicologiche ha creato dei veri e propri gruppi di lavoro, formati da 80 psicoterapeuti coordinati da un team leader, che si incontrano periodicamente per sessioni di formazione, di supervisione e di intervisione. La piattaforma introduce dunque logiche gerarchiche in una professione finora governata da logiche professionali e di mercato (fatta eccezione per gli psicologi che operano nelle strutture sanitarie).

È un risultato in controtendenza rispetto alla retorica sulla disintermediazione e alle logiche “pure” di management algoritmico. Questo comporta l’emergere di nuove figure professionali e di nuovi percorsi di carriera. Inoltre, può favorire la creazione di nuove comunità professionali, per lo scambio di conoscenze e di pratiche.

Piattaforme che creano mercati

La logica di piattaforma favorisce l’espansione e la trasformazione della logica di mercato nel welfare. Con il venir meno dei finanziamenti pubblici, molti enti del terzo settore hanno iniziato a offrire i propri servizi direttamente ai cittadini disposti a pagarli privatamente. Questo processo viene facilitato dalla disponibilità di piattaforme di welfare che consentono ad associazioni, cooperative e imprese sociali di rendere visibile la propria offerta a nuove categorie di clienti. Queste organizzazioni stanno mostrando una certa difficoltà nel compiere questo passaggio, dimostrata anche dal fatto che spesso la descrizione dei servizi in piattaforma adotta il linguaggio burocratico dei bandi pubblici, non adatto per una comunicazione orientata al cliente finale.

Il rafforzamento della privatizzazione dei servizi di welfare risulta evidente anche dall’analisi delle piattaforme di welfare digitale nel settore della salute. I pazienti si rivolgono a questi servizi per supplire alle carenze del servizio pubblico e del privato convenzionato, generalmente per avere una diagnosi in tempi rapidi. Al tempo stesso, i medici trovano in queste piattaforme un lavoro integrativo, che offre loro un reddito supplementare senza particolari oneri organizzativi.

Infine, la piattaforma può rinforzare anche l’economia sommersa. Tra i nostri studi di caso, abbiamo analizzato una piattaforma di servizi di babysitting, settore in cui è largamente diffuso il lavoro informale. La piattaforma facilita l’incontro tra domanda e offerta, allargando questo mercato, senza cambiare le condizioni di lavoro. Come in altri settori, la piattaforma dichiara di essere un provider di servizi informatici e non assume il ruolo di datore di lavoro. Questo può generare ambiguità nei clienti che, nell’acquistare un servizio, a volte non sono consapevoli di essere responsabili della (mancata) regolarizzazione del contratto di lavoro o copertura assicurativa dei lavoratori che prestano servizio presso la loro abitazione. Queste piattaforme fanno emergere il lavoro sommerso, senza che questo faciliti la sua regolarizzazione.

La visibilità riguarda anche i profili dei singoli lavoratori che, da un lato, rischiano di essere soggetti a logiche di discriminazione ma, dall’altro, possono valorizzare le proprie esperienze pregresse, in una logica di “portfolio” che finora ha caratterizzato il lavoro creativo.

Piattaforme che creano reti

Infine, le piattaforme possono creare reti. Questo è particolarmente evidente nelle piattaforme territoriali. Al momento, queste piattaforme sembrano riflettere le alleanze inter-organizzative già esistenti a livello territoriale. Questo spiega la diversa composizione degli attori presenti nelle piattaforme locali, a partire dalla distinzione tra piattaforme che includono l’attore pubblico e quelle che non lo fanno. Il potenziale delle piattaforme sta invece nella logica di apertura e di abilitazione di relazioni, che potrebbe favorire la creazione di nuovi ecosistemi attraverso l’ingaggio di nuove realtà e l’avvio di nuove collaborazioni. È evidente che questo mette in discussione i tradizionali equilibri nei rapporti di collaborazione e competizione tra gli attori.

La complessità istituzionale delle piattaforme di welfare

Questa panoramica mostra la complessità istituzionale delle piattaforme di welfare in Italia: la logica di piattaforma non viene adottata in forma pura ma si integra con le logiche di mercato, di rete, gerarchiche e professionali. Su un piano analitico, questa ibridazione rivela le tensioni tra logiche istituzionali diverse, ma è da leggere in termini di un graduale adattamento al contesto regolativo e culturale che, a medio-lungo termine, può rivelarsi più efficace rispetto al copia-incolla di logiche di piattaforma mutuate dagli startupper della Silicon Valley.

Infine, a fronte di una simile varietà di modelli organizzativi all’interno dell’intero settore del welfare, le piattaforme che operano in singoli settori occupazionali (professioni mediche, cura dell’infanzia, etc) presentano alcuni significativi tratti isomorfici, frutto delle stesse dinamiche di adattamento a un contesto istituzionale complesso e altamente differenziato internamente.

La mancata uberizzazione delle piattaforme di welfare sollecita anche le istanze di advocacy che contrastano questa prospettiva. Finora, il platform cooperativism è stato proposto come alternativa unica a un modello considerato internamente omogeneo. Questo approccio, inoltre, propone di replicare l’infrastruttura tecnologica delle piattaforme estrattive, su cui innestare una governance cooperativa. Se, come dimostra la nostra ricerca, il panorama delle piattaforme di welfare è diversificato al proprio interno, anche l’elaborazione di proposte alternative non può che muoversi lungo linee più articolate.