Il 30 marzo scorso Caritas Italiana ha presentato al Governo, a seguito di un tavolo di confronto, una proposta di revisione del Reddito di cittadinanza che prevede l’introduzione di due misure, tra loro complementari: l’Assegno Sociale per il Lavoro (AL) e il Reddito di Protezione (REP).

La prima misura si rivolge alle persone in difficoltà economica senza lavoro da un determinato periodo di tempo, quindi occupabili, e prive di sostegni pubblici per la disoccupazione: ha l’obiettivo di favorire il re-inserimento lavorativo. La seconda è destinata, invece, alle famiglie in povertà per garantire loro una vita dignitosa con percorsi di reinserimento sociale e/o di avvicinamento al mercato del lavoro.

Si tratta di una proposta che mira a contribuire al dibattito in corso, oggi ampiamente incentrando sulla bozza di riforma del Reddito di Cittadinanza (RdC) del Governo Meloni che dovrebbe portare all’introduzione, da settembre 2023, di un nuovo sussidio chiamato Misura di Inclusione Attiva (MIA), diverso sia per importo che per durata a seconda della situazione familiare dei beneficiari. Le famiglie senza persone occupabili dovrebbero prendere un importo più alto e di durata maggiore rispetto alle famiglie con persone occupabili.

Dopo il Reddito di Cittadinanza: tagli e restrizioni per i poveri

Di seguito illustriamo sinteticamente i punti principali della proposta di Caritas Italiana e le due misure in cui si articola. Maggiori dettagli sono consultabili qui.

Il tavolo di confronto promosso da Caritas

La proposta è il frutto del lavoro condotto in questi mesi da un gruppo composito di operatori di Caritas diocesane, di studiosi ed esperti del settore e di membri degli uffici della Conferenza Episcopale Italiana e si radica nell’impegno quotidiano dell’ampia rete delle Caritas sui territori in favore delle persone in povertà 1

Caritas ha elaborato tale proposta seguendo tre direttrici: partire dai poveri, puntando a raggiungere tutti coloro che si trovano nelle peggiori condizioni e non sono tenuti in considerazione dalle misure nazionali in questi anni o non hanno ricevuto un supporto adeguato alla loro situazione di bisogno; considerare le misure di contrasto alla povertà nelle due componenti – fra loro inscindibili – del contributo economico e dei servizi alle persone; partire dagli apprendimenti e dalle indicazioni operative derivanti dall’applicazione delle misure che si sono susseguite negli ultimi sei anni in Italia monitorate costantemente da Caritas attraverso la sua rete di 3.500 Centri di ascolto attivi in tutte le diocesi del Paese.

I tre principi alla base della proposta e le due misure

La proposta, come detto, si basa su tre principi di fondo:

  • assicurare il diritto a un’esistenza dignitosa per chiunque sia caduto in povertà, come avviene in gran parte dei Paesi europei, indipendentemente dalla sua condizione lavorativa;
  • coniugare diritti e doveri, ovvero combinare la garanzia di un’esistenza dignitosa con la richiesta alle persone di aderire a un progetto di cambiamento e miglioramento della propria vita;
  • superare la confusione tra l’obiettivo dell’inserimento lavorativo e quello della tutela di ultima istanza, prevedendo due misure distinte con finalità diverse e adottando come criterio di distinzione quello della vicinanza delle persone al mercato del lavoro.

Più nello specifico, la proposta prevede due misure diverse per raggiungere obiettivi differenti superando l’attuale confusione tra l’inserimento lavorativo e tutela di ultima istanza. La prima è l’Assegno Sociale per il Lavoro (AL): una misura di inserimento lavorativo per persone occupabili in difficoltà economica. La seconda è il Reddito di Protezione (REP): una misura di tutela di un reddito minimo per le famiglie povere. È questo un assetto che è già una realtà in 8 Paesi europei, tra cui anche Grecia, Portogallo e Spagna, caratterizzati da sistemi di welfare molto simili a quello italiano ma in molti ambiti già proiettati verso un superamento delle criticità tipiche del modello di protezione sociale del Sud-Europa.

Assegno Sociale per il Lavoro

I potenziali destinatari dell’Assegno Sociale per il Lavoro e del Reddito di Protezione si distinguono per un diverso grado di occupabilità, intesa come la probabilità di trovare un lavoro: le persone occupabili sono indirizzate al primo strumento. La loro situazione è valutata in base alla condizione di “vicinanza al mercato del lavoro” e al fatto di non essere destinatari di sostegni pubblici per la disoccupazione.

La condizione di vicinanza al mercato del lavoro è definita, nella proposta, da due condizioni: il beneficiario ha esaurito la fruizione dei sussidi di disoccupazione contributiva (Naspi o Dis-Coll) ed è ancora in una condizione di disoccupazione involontaria oppure ha terminato di svolgere un’occupazione regolare da un certo periodo, ma non possiede il requisito contributivo necessario per accedere a Naspi o Dis-Coll.

Reddito di Cittadinanza: il tema centrale dell’occupabilità

Considerare la storia lavorativa del singolo come primo criterio di occupabilità è coerente con quanto accade in tutti i Paesi in cui misure simili sono già attive. L’AL si articola in un trasferimento monetario e in attività mirate a trovare un nuovo impiego. È a tempo limitato (massimo 18 mesi) e pone i beneficiari nelle condizioni affinchè si impegnino attivamente nella ricerca di una occupazione. La proposta intende quindi assicurare a chiunque si trovi una situazione di povertà il diritto a un’esistenza dignitosa. In tutta Europa chi si trova in condizioni d’indigenza (con risorse economiche inferiori ad una determinata soglia di povertà) è titolato a ricevere un sostegno pubblico con continuità. Inoltre, in nessun Paese europeo a un disoccupato senza altre forme di sostentamento è precluso l’accesso al sostegno economico contro la povertà solo perché considerato occupabile.

Reddito di Protezione

Al contempo la proposta mette al centro le persone povere. Troppo famiglie in povertà assoluta non ricevono il RdC (tra il 50 e il 61%, in base ai diversi studi) e troppe che non sono in questa condizione, invece, lo ricevono (tra il 36 e il 51%) come è evidenziato nell’Allegato 3 della proposta. Il REP si compone di un trasferimento monetario e di servizi alla persona, differenziati in base alle specifiche caratteristiche delle famiglie. Lo si riceve per un certo periodo di tempo, concluso il quale è possibile presentare nuovamente domanda e, se persiste la condizione di grave povertà, continuare a fruirne.

Raggiungere i poveri per favorire l’inclusione

La proposta, dunque, individua criteri di accesso in grado di migliorare la capacità di raggiungere i poveri: innanzitutto, non vanno penalizzate le famiglie numerose e con figli, come oggi accade; vanno poi superate le discriminazioni verso gli stranieri (oggi il RdC prevede come requisito 10 anni di residenza); sono, infine, da considerare le differenze territoriali nel costo della vita, sia tra macro-aree territoriali (Nord/Centro/Sud) sia tra Amministrazioni locali di diverse dimensioni (Comuni piccoli/medi/grandi).

Da ultimo la proposta riconosce la centralità dei percorsi d’inclusione a patto che siano “realisticamente ambiziosi”. Capitalizzando gli apprendimenti scaturiti da studi e dall’operatività nella realizzazione dei percorsi di inclusione sia di tipo sociale che lavorativo, appare irrinunciabile il primato della presa in carico delle persone da parte dei servizi (sociali e del lavoro).

Caritas propone che il contributo economico non venga erogato se prima non si è siglato un patto di collaborazione con la persona che, informata di un set di condizionalità minime universali (definite in base alle diverse caratteristiche e fragilità degli individui), decide di attenervisi, intraprendendo un percorso di miglioramento della propria vita, con il supporto di operatori e servizi dedicati.

Tabella che riassume il funzionamento dell'Assegno Sociale per il Lavoro e Reddito di Protezione proposti da Caritas Italiana per superare il Reddito di Cittadinanza

Una proposta basata sull’esperienza, per andare avanti

“Contrastare la povertà – ha dichiarato don Pagniello, Direttore di Caritas Italiana, presentando la proposta – è un processo lungo che richiede sforzi congiunti e un impegno collettivo da portare avanti insieme con concretezza, competenza e dialogo costruttivo: solo così possiamo sperare in un futuro migliore per milioni di persone in povertà nel nostro Paese”. Da questa premessa Caritas ha dunque avviato una riflessione sulle politiche contro la povertà identificando le logiche di fondo e l’impostazione complessiva di due misure tra loro complementari (oltre che cumulabili tra loro se sussistono le condizioni) che – guardando al futuro – mirano ad evitare gli errori del passato e di compierne di nuovi.

La proposta mira ad assicurare il diritto a un’esistenza dignitosa per chiunque sia caduto in povertà, come avviene in tutta Europa, indipendentemente dalla sua condizione lavorativa; a coniugare diritti e doveri, ovvero combinare la garanzia di un’esistenza dignitosa con la richiesta alle persone di aderire a un progetto di cambiamento e miglioramento della propria vita; a superare la confusione tra l’obiettivo dell’inserimento lavorativo e quello della tutela di ultima istanza, prevedendo due misure distinte con finalità diverse e adottando come criterio di distinzione quello della vicinanza delle persone al mercato del lavoro.

Cosa possiamo imparare dal Rapporto di Caritas sulla povertà

Una proposta che capitalizza l’esperienza degli operatori e delle operatrici dei servizi pubblici, delle amministrazioni ai vari livelli di governo e delle organizzazioni locali dal cui lavoro passa la realizzazione degli interventi. Una proposta che potrà contribuire ad orientare il dibattito dei prossimi mesi, dibattito che dovrà necessariamente tenere conto di altre misure previste dalla Legge di Bilancio 2023 – ad esempio, il Reddito Alimentare – e della Misura di Inclusione Attiva (MIA) a cui il Governo sta lavorando con l’intenzione di attuarla dal prossimo 1° settembre.

Quello che è certo è che non possiamo più guardare indietro: la crisi economica, seguita all’emergenza pandemica, ci ha mostrato come disporre di uno strumento di contrasto alla povertà attutisca il rischio di caduta in picchiata verso le forme più severe di deprivazione materiale e sociale. In assenza del RdC, milioni di famiglie italiane sarebbero finite in condizioni di gravi difficoltà economiche. Si tratta quindi di guardare avanti cogliendo l’opportunità di modificare gli aspetti di maggiore debolezza del RdC continuando a garantire al Paese una misura di contrasto alla povertà.

Note

  1.  Cristiano Gori (Coordinatore, Università di Trento e collaboratore di Caritas Italiana), Massimo Baldini (Università di Modena e Reggio Emilia), Andrea Barachino (Caritas diocesana di Concordia-Pordenone), Marco Berbaldi (Caritas diocesana di Savona), Don Bruno Bignami (Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Conferenza Episcopale Italiana), Giulio Bertoluzza (Università di Trento), Tomas Chiaromonte (Ufficio Nazionale per la pastorale della salute della Conferenza Episcopale Italiana), Alessandro Ciglieri (consulente e collaboratore di Caritas Italiana), Nunzia De Capite (Caritas Italiana), Massimo De Minicis (Università di Roma – La Sapienza), Roberto Franchini (Servizio Nazionale per la pastorale delle persone con disabilità), Domenico Leggio (Caritas diocesana di Ragusa), Marco Lora (Ufficio Nazionale per la pastorale della salute della Conferenza Episcopale Italiana), Claudio Lucifora (Università Cattolica di Milano), Maria Luisa Maitino (Irpet Toscana), Manos Matsaganis (Politecnico di Milano), Lucia Mazzuca (Consulente indipendente), Daniele Pacifico (Ocse, Parigi), Letizia Ravagli (Irpet Toscana), Nicola Sciclone (Irpet Toscana), Alberto Zanardi (Università di Bologna)
Foto di copertina: Daria Nepriakhina, Unsplash