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L’accessibilità e l’allestimento dei contesti (luoghi, spazi, tempi, format di attività) marcano e attribuiscono significato a incontri civici, progettazioni partecipate, costruzione condivise di piani strategici e di sviluppo, laboratori formativi e comunità di apprendimento, percorsi di coprogrammazione e coprogettazione, valutazioni partecipate e ricerche-intervento. In questo contributo vengono considerati alcuni aspetti per configurare setting capaci di produrre relazioni collaborative.

Accortezze per animare la partecipazione

Ideato per promuovere e facilitare percorsi coinvolgenti in presenza e online, il Manifesto-Canvas della partecipazione ibrida (Maino e Bertone, 2022), presenta un repertorio di indicazioni operative per rendere la partecipazione accogliente, accessibile, inclusiva, attivante. La qualità delle esperienze di partecipazione dipende dall’interazione tra attori coinvolti (proponenti, partecipanti e facilitatori), da come ciascuno agisce in modo costruttivo e attiva gli elementi abilitanti e connettivi di cui dispone. Tra questi elementi vi sono i contesti fisici o gli ambienti digitali. La scelta, l’allestimento, l’uso del setting costituiscono aspetti rilevanti per animare attività partecipate.

Per promuovere l’apporto delle persone e delle organizzazioni, per garantire un impegno sufficientemente equilibrato e distribuito, per offrire esperienze coinvolgenti e inclusive (Bigby, 2018), la facilitazione di momenti partecipati deve curare sia le tecniche per animare il lavoro collettivo, sia l’ambiente in cui si svolgono le attività. Alcune coordinate possono essere tenute presenti per preparare e condurre attività momenti di formazione, di consultazione e di partecipazione, gruppi di lavoro e di scrittura collettiva:

  • proporre questioni e attività il cui significato sia rilevabile e comprensibile;
  • immaginare e allestire un setting coinvolgente mettendo a disposizione spazi di lavoro curati, accoglienti e capaci di motivare le persone in un percorso di esplorazione, riflessione e confronto sulle questioni oggetto della partecipazione (Ripamonti et al., 2010);
  • guidare interazioni e attività assicurando coordinamento operativo e supporti per favorire le interazioni fra i partecipanti e accompagnare le attività via via proposte;
  • garantire un impegno equilibrato, calibrando le richieste in modo da non sovraccaricare chi prende parte alle attività innescando un coinvolgimento costruttivo.

In presenza, online, con modalità ibride

Il setting è decisivo per il lavoro di confronto e apprendimento. I luoghi devono rendere possibile l’incontro e lo scambio di esperienze, la comune riflessione su questioni rilevanti che investono la realizzazione dei progetti, la condivisione di aspetti critici e l’elaborazione di apprendimenti a partire dalle pratiche in corso di realizzazione.

I luoghi allestiti e animati per attivare e sviluppare dialogo e condivisione possono essere:

  • luoghi fisici, dove si svolgono le attività individuali, di gruppo e in plenaria. Ambienti individuati nella sede del proponente, in una sede ospitante neutra o portatrice di significati, o anche nelle sedi dei soggetti coinvolti: ospitarsi reciprocamente nei rispettivi luoghi di lavoro e territori ha forti valenze simboliche e operative nella costruzione di momenti e percorsi partecipati;
  • luoghi virtuali, dove si sviluppa il confronto a distanza e si realizzano incontri e scambi: si tratta di disporre di piattaforme versatili, spazi digitali per discutere, dividersi in gruppi di lavoro, per annotare e scrivere a più mani, archiviare e rendere disponibili materiali, gruppi di discussione e newsletter per condivisione elaborazioni e per facilitare le comunicazioni interne;
  • dimensioni ibride. Il digitale ha espanso i setting e le opportunità di partecipazione e facilitazione, non solo creando due dimensioni, quella delle attività online e quella delle attività in presenza, ma anche offrendo dimensioni in cui sviluppano in sequenza, si realizzano in parallelo, si intrecciano attività collettive partecipate.

Il setting è dunque quell’insieme di aspetti che contribuiscono a regolare le attività e le relazioni in contesti di facilitazione e animazione di gruppi. Ambienti fisici, digitali, ibridi, attrezzati per  realizzare attività coinvolgenti devono essere sufficientemente facili da utilizzare. E devono prevedere, se necessario, indicazioni o tutorial, per essere accoglienti, confortevoli, per far sentire a proprio agio e consentire alle persone di dedicarsi alle attività proposte.

Pensare il setting come risorsa dinamica

Il setting consente di svolgere le attività proposte, gli incontri fra cittadini, la formazione, il confronto fra gruppi ed è un fattore essenziale per l’applicazione efficace delle tecniche e la riuscita di attività coinvolgenti. Il setting non è solo lo spazio di lavoro con il suo arredamento, è piuttosto l’insieme di quegli elementi che configurano e rendono possibili le attività formative, di confronto, di partecipazione. La funzione del setting è quella di qualificare la specificità dell’attività che sta per svolgersi o che si svolge e di offrire supporto ai processi di pensiero, confronto e elaborazione attivati dai processi partecipativi.‍

L’allestimento degli spazi, i tempi operativi contribuiscono a determinare la cornice che concorre a dare senso alle attività e a promuovere una comprensione delle attività che vengono proposte a chi vi prende parte. Per questo sono importanti (ma non sempre a portata di mano): stanze grandi e stanze piccole, ambienti sufficientemente ampi per lavorare in plenaria e per dividersi in sottogruppi, salette per lavorare in gruppo senza confusione, pareti da utilizzare come supporti per appendere manifesti, cartelli e fogli, sedie comode e spostabili, tavoli per raccogliersi e discutere, per scrivere, per fare qualche specifica attività, tavoli facili da muovere e da ricollocare riarredando lo spazio per esprimere il senso di ciò che si vuole fare che si desidera accada nel lavoro collettivo.

Il setting non viene definito dalle sole componenti spaziali interne, esplicite e tangibili, e non solo dagli aspetti connessi con la disposizione di tavoli, sedie, altri arredi. Anche gli accordi d’uso dello spazio, che possono essere proposti o concordati tra chi facilita e chi partecipa, contribuiscono a rendere comprensibile le attività proposte: movimenti e spostamenti, riconfigurazioni degli spazi, tempi stabiliti e gestione dei tempi (orari di avvio, durata del lavoro proposto, momenti di pausa, orario di termine degli incontri) sono elementi che determinano il contesto di attività.

In alcune occasioni può essere necessario alterare il setting per creare configurazioni meno formali, ad esempio se le sedie sono già disposte in assetto da conferenza, si può valutare di ricollocarle per creare un ambiente favorevole al dialogo tra i partecipanti. Si può decidere di preparare in anticipo lo spazio, ricollocando le sedie o si può decidere di sottolineare il cambiamento proponendo di spostare le sedie per ricollocarsi in una qualche forma di circolarità. È importante che le modifiche del setting vengano proposte anche utilizzando l’artificio retorico della richiesta, che consente di motivare la funzionalità che si desidera produrre.

Quando non sono ovvie nel contesto delle convenzioni, è opportuno richiamare e – se intenzionalmente difformi dalle attese presupposte come ovvie – concordare, le regole di fruizione e di utilizzo del setting. L’idea è che non vi sia dissonanza tra il setting (spazi, tempi, dinamiche d’uso) e le intenzioni di metodo che guidano la facilitazione. Si tratta a volte di utilizzare una piccola porzione della fase di apertura dell’incontro per accennare a come si procederà per realizzare le attività previste. Le reazioni agli obiettivi del setting proposti e i comportamenti nella fruizione dell’ambiente e dei tempi, forniscono feedback utili al processo di conduzione e di facilitazione.

Location e ospitalità

Anche la location contribuisce a determinare la qualità del setting operativo. La rappresentazione personale e collettiva dell’iniziativa alla quale abbiamo invitato (o si è stati inviati) è determinata anche dal luogo nel quale verrà realizzata (Bacicchi et al., 2022). Ci parlano della rilevanza dell’evento, posti conosciuti o belli, sedi istituzionali, centri civici, spazi di comunità, biblioteche, musei, sedi prestigiose di organizzazioni che finanziano, che promuovono o che realizzano le attività in cui lo specifico incontro si inserisce. Luogo (o luoghi) e soggetto (o soggetti) che ospitano concorrono ad attribuire senso a ciò che si intende far accadere: partecipazione, confronto, elaborazione, proposte. Invitare e andare in visita, ospitare ed essere ospitati, scegliere un luogo che esprime riconoscibilità sociale significa scegliere di (pre)marcare contenuti e portata dell’iniziativa, dell’incontro, delle attività proposte.

Immaginiamo che un gruppo di associazioni che di norma non collaborano (semmai competono) vengano invitate a un tavolo di coordinamento convocato dall’amministrazione comunale presso la biblioteca civica: essere ospitati in un luogo terzo può indicare l’intenzione da parte dell’amministrazione di porsi in una posizione accogliente e contemporaneamente  può risultare un passo ingaggiante, una proposta per mettere le organizzazioni coinvolte sullo stesso piano e per offrire spazi di di parità, volti a superare incertezze o dominanze.

Immaginiamo una comunità di apprendimento che costruisca via via il suo percorso di scambio di esperienze, di analisi partecipata delle pratiche, di elaborazione di proposte operative. L’accoglienza a turno, incontro dopo incontro nelle sedi di chi partecipa al percorso può esprimere intenzione di collaborazione. L’ospitalità reciproca accorcia le distanze, indica l’impegno al dialogo, esprime apertura e disponibilità a decentrarsi, suggerisce un desiderio di conoscenza, promuove relazioni costruttive e collaborative.

La proposta di incontrarsi in setting ospitali, nella propria sede o in luoghi terzi, contribuisce a promuovere aperture, conoscenza e costruzione di partnership. A volte per non creare condizioni di imbarazzo nell’essere ospiti e per segnalare l’alterità del momento collettivo si può proporre anche solo di incontrarsi nel Comune vicino, indicando così la ricerca di uno spazio e di un tempo altri, riservati e dedicati, di sospensione delle routine e di sottolineatura dell’eccezionalità dell’incontro. Ad esempio incontrarsi in un museo e lavorare negli spazi messi a disposizione, alternare il lavoro in gruppo e in plenaria con una visita collettiva è contemporaneamente qualcosa di inusuale e la proposta di una esperienza accomunante le persone convenute.

Scritture per disegnare e orientare attività partecipate

I setting non sono modellati solo da dimensioni fisiche o digitali, possono essere marcati da scritture. Contribuiscono a costruire il setting eventuali comunicazioni, manifesti, documenti, scritte su carta o proiettate che accolgono e orientano che viene invitato a momenti di lavoro collettivi, e insieme a cartelloni o testi verticali possono venire proposte mappe di lavoro.

Alcuni esempi possono illustrare la rilevanza di progettare e allestire contesti di incontro per sostenere l’elaborazione individuale e collettiva: appendere alle pareti cartelloni con titoli che alludono al lavoro che verrà proposto è un modo per tracciare l’itinerario di partecipazione. Chi entra nello spazio di lavoro lo trova preparato per le attività che verranno proposte, si intuisce che ci saranno lavori guidati, i titoli dei cartelloni, le scritte, le dimensioni alludono ad attività di confronto e di scrittura collettiva. In questo modo si anticipa e si prepara il clima di lavoro, si orientano le persone convenute a immaginare le interazioni possibili, si promuove la costituzione di uno spazio psicologico sociale per pensare e per discutere.

Un modo per far immaginare l’ambiente di lavoro è presentare il programma della giornata o del ciclo di incontri proposti. Si tratta di offrire la strutturazione delle attività: momenti in plenaria seguiti da lavori in gruppo, utilizzo di tecniche che chiedono a chi partecipa di fare o non fare determinate attività, successioni di compiti e condivisioni, presentazioni pubbliche, scritture a più mani. L’agenda di lavoro del momento di incontro contribuisce a dare senso alla partecipazione, si tratta di un dispositivo per orientare i comportamenti individuali e consentire di orientarsi nelle attività sociali proposte.

Un altro modo per definire uno spazio attivante e ricettivo è mettere a disposizione una mappa visuale (un canvas) di quello che viene portato all’attenzione e alla discussione (Maino, 2022). In questo modo i focus oggetto di trattazione, confronto, elaborazione vengono presentati in modo complanare, vengono distinte le questioni e viene facilitata la possibilità di intravedere o costruire connessioni. Fornire una mappa è un modo per abilitare l’orientamento autonomo dei partecipanti.

Il contributo di cibi e bevande

Bere e mangiare insieme sono attività che contribuiscono a determinare i setting di partecipazione comviviali. Aprire con un caffè di benvenuto segnala che è prevista una porzione di tempo dedicata all’accoglienza e sottolinea il momento di avvio effettivo delle attività. Si tratta di una micro rito di integrazione che comunica il benvenuto e dice il tono di ufficialità o informalità che si intende dare alle attività che si svolgeranno. Se i caffè di benvenuto sono sontuosi buffet, il tono dell’evento trova un rinforzo, se sono semplici e rapidi caffè si segnala l’informalità e l’operatività che prenderà corso. A volte il caffè è previsto per la pausa, con un effetto di alleggerimento della dimensione operativa e di apertura di uno spazio di relazioni informali.

Anche mangiare insieme è un modo per creare uno spazio di interazione, di colloquialità, di incontro parzialmente autostrutturati: ci si mette in fila, si mangia in piedi, si formano, si sciolgono e si riformano piccoli capannelli, si riprendono o si avviano interazioni. Tra le soluzioni che a volte si utilizzano per creare setting partecipativi vi è quella di enfatizzare l’ospitalità offrendo non solo dell’acqua e del caffè, ma anche dolci. L’offrire cibo ha un significato rituale pronunciato e indica riconoscimento, disponibilità e impegno a creare condizioni favorevoli. Insieme all’offrire cibo quando si ospita a volte si portano dolci o altri cibi quando si viene ospitati in segno di gratitudine.

In alcune occasioni di partecipazione, per favorire la presenza di molte persone si è scelto di svolgere gli incontri nel tardo pomeriggio con conclusione subito dopo cena. In queste occasioni sono stati organizzati buffet affidati ad associazioni locali e si è scelto di mangiare lavorando in gruppo. Aver concordato di mangiare liberamente durante il lavoro di gruppo serviva a ottimizzare i tempi (eccezionalmente ci si confronta e si lavora a un documento condiviso nel tempo di norma dedicato alla cena) e serviva anche a creare un clima di confidenza operativa fra persone provenienti da territori e da organizzazioni diverse. Cibi e bevande possono essere dunque utilizzate per modulare i setting di partecipazione.

Setting da incubo e micro interventi possibili

Accade che gli ambienti a disposizione non sono esattamente ciò che servirebbe per promuovere la discussione e lo scambio di idee fra persone che si guardano in volto. Sale strette e lunghe, sedie disposte per file successive, sale di rappresentanza dove è impossibile modificare la dispozione interna o non è consentito spostare arredi o utilizzare le pareti per appendere fogli di lavoro, aule universitarie dotate di arredi fissi. In questi casi, oltre a segnalare i vincoli determinati dalla configurazione degli ambienti, si possono ricercare soluzioni minimali di riorganizzazione dell’ambiente facendo leva sull’uso dello spazio da parte di chi facilita e ricercando la complicità consapevole di chi partecipa.

Ci si può dunque muovere nello spazio evitando di collocarsi dietro il tavolo da conferenza, usandolo piuttosto per appoggiare ben in vista di materiali che verranno usati per il lavoro in gruppo (fogli colorati, nastro da tappezziere, pennarelli). Si possono proporre attività che facciano spostare di posto le persone, si possono usare gli spazi esterni alla sala (corridoi e sale di ingresso) per fare le attività di gruppo e si può chiedere ai componenti dei gruppi di lavoro di reggere i cartelloni mentre vengono presentati.  Quando invece gli spazi sono molto grandi, un pò vuoti e dispersivi, con l’effetto non tanto di funzioni irrigidite quanto di non intelligibilità delle funzioni, può essere opportuno allestire spazi diversi.

Con le sedie si può costruire l’area per il lavoro in plenaria e collocando piccoli gruppi di sedie in circolo, creare salottini per il lavoro in gruppo, al centro su una sedia collocare fogli e pennarelli. Quando gli spazi sono stretti e ci si trova a lavorare in plenaria prima, in gruppo e poi di nuovo in plenaria in ambienti da riconfigurare, via via che il lavoro procede, può essere utile che il lavoro in plenaria orienti le persone verso il centro della stanza, mentre il lavoro in gruppo dislochi le sedie – e quindi le persone – verso gli angoli della stanza, così che nel lavoro in gruppo si diano le spalle. A volte una lavagna a fogli mobili o un appendiabiti possono venire usati come oggetti per separare idealmente l’ambiente, creando porzioni di spazio riservate al lavoro di gruppo.

Eccessi di setting

Un piccolo aneddoto per indicare come il setting sia costituito da molteplici fattori che configurano lo spazio delle relazioni in contesti di apprendimento.

Alcuni anni fa, nell’ambito di un percorso formativo sulla qualità totale, la proposta formativa nel pacchetto includeva sia buoni pasto da utilizzare nella mensa della struttura, sia buoni per fare colazione, prendere un caffè, fare uno spuntino. A prima vista questa soluzione all-inclusive è apparsa interessante: colazione, caffè, pranzo, merenda: non male. Il percorso formativo durava una settimana, già al secondo giorno l’autoregolazione dei ticket ha posto la questione della regolazione dei ticket avanzati, ma l’effetto leggermente straniante (che verso la fine del corso è stato tematizzato nel gruppo in formazione) era l’abolizione del denaro e quindi l’impossibilità di decidere di offrirsi reciprocamente un caffè.

Nel gruppo più persone hanno avvertito il livellamento operato dai ticket come un’opportunità eccessiva e invadente. Da un lato limitava la possibilità di attivare le normali ritualità di avvicinamento relazionale che sono, ad esempio, offrirsi reciprocamente un caffè. Dall’altro costringeva all’autogestione dei ticket e al prendere accordi sui ticket non utilizzati (si potevano o non si potevano usare? Secondo quali regole interne al gruppo?). Si è trattato, naturalmente, di un dettaglio in un corso dai contenuti tecnici complessivamente giudicato in modo positivo.

Eppure l’introduzione di ticket, che presumibilmente nelle intenzioni degli organizzatori costituiva una facilitazione, ha finito per costringere ad aprire un fronte relazionale imprevisto (la regolazione nell’uso dei ticket) e per ostacolare un fronte relazionale spontaneo, che socialmente serve a costruire contatti professionali progressivi. Come ha fatto osservare una partecipante, il corso sulla qualità totale aveva forse preso troppo sul serio il concetto di totale, finendo per lasciarsi scappare un lapsus sull’impostazione dell’approccio formativo adottato. Anche gli aspetti connessi all’eccesso di gratuità, alla facoltà di usare il denaro e all’accesso a momenti di convivialità contribuiscono a plasmare il setting di apprendimento.

Rendere disponibili contesti accessibili, accoglienti, riconfigurabili

Il setting vive nella materialità degli ambienti e nell’immaterlità delle rappresentazioni mentali condivise, è determinato da elementi intangibili (teorie e metodologie di riferimento che orientano l’impostazione della conduzione), da elementi operativi (ad esempio la tecnica impiegata da chi facilita per animare il processo di partecipazione), da dimensioni fisiche: luoghi ed edifici dove incontrarsi; spazi, allestimenti, arredi, disposizioni di sedie e tavoli. In questo senso il setting è al tempo stesso contenitore e processo dinamico. La cura del setting è un lavoro continuo: di volta in volta è necessario individuare quali attenzioni considerare in ragione delle finalità dei momenti di partecipazione, delle condizioni di contesto, degli intenti di coinvolgimento. Tre aspetti sollecitano il lavoro di chi facilita percorsi e momenti di partecipazione: allestire setting accessibili, che siano per alcuni aspetti riconfigurabili dalle persone che prendono parte agli incontri e che siano inclusivi.

Un primo aspetto che rende i setting facilitanti è proprio l’accessibilità. Bigby et al. (2018) hanno condotto un riesame comparativo su diciassette articoli di documentazione di iniziative di partecipazione comunitaria svoltesi in Australia tra il 2000 e il 2015. Dall’analisi emerge che l’accessibilità piena e diffusa resta un traguardo a cui lavorare sul campo, negli specifici contesti, identificando e governando gli aspetti che influenzano l’accessibilità: informazioni, mobilità, tempi e supporti, barriere fisiche, ambienti e attività facilitanti, comprensibilità delle questioni.

Un secondo aspetto da curare riguarda il far sentire attese e benvenute le persone che prendono parte alle attività. E tanto maggiore sono vincolanti spazi e arredi, quanto più vanno curate le attività proposte per minimizzare le rigidità che il setting introduce. In particolare, quando ci si trova a proporre attività in ambienti non adeguati è fondamentale tematizzare le difficoltà, perché eventuali scomodità mobilitino un supplemento di adattamento creativo.

Un terzo aspetto riguarda la possibilità di riconfigurare i setting per facilitare la partecipazione e l’evoluzione delle attività proposte. Ciò non è sempre possibile, a volte gli spazi presentano vincoli (si pensi alla proposta di una attività interattiva in un’aula ad anfiteatro in università). Non guasta in questi casi qualche soluzione trasgressiva: usare i gradini, i corridoi, lavorare in piedi lungo le discese e le salite, invadere lo spazio riservato ai relatori per svolgere attività, chiedere di muoversi e di spostarsi, supplire ai vincoli degli ambienti evitando di aderire meccanicamente alle intenzioni che arredi e disposizioni hanno prefigurato per chi vi soggiorna.

Accessibilità, confortevolezza e flessibilità sono tre caratteristiche da ricercare per promuovere processi di partecipazione inclusivi, coinvolgenti e produttivi, frutto dell’interazione circolare fra questioni, soggetti coinvolti e contesto ospitante e abilitante (il setting).

Per approfondire