I problemi presenti nell’ambiente naturale contribuiscono a definire il livello di benessere dell’uomo e hanno significative ripercussioni sul contesto sociale, contribuendo a produrre e riprodurre vecchie e nuove forme di disuguaglianza. Gli effetti della crisi ecologica si avvertono ogni anno in maniera sempre più chiara e interessano un numero crescente di individui, famiglie e comunità.

Il ruolo cardine del social work1 all’interno del sistema di welfare, il mandato professionale dell’assistente sociale, le conoscenze e le competenze sviluppate dal servizio sociale come disciplina e come professione a partire dalle sue origini fino ai nostri giorni, rendono il lavoro sociale una risorsa importante nel delicato percorso di cambiamento per la costruzione di contesti societari sostenibili dal punto di vista ecologico.

Il servizio sociale è dunque chiamato a svolgere un ruolo di co-protagonista del difficile percorso di superamento delle disuguaglianze, per la promozione di margini crescenti di giustizia sociale e ambientale e per promuovere simultaneamente il benessere dell’ambiente naturale.

Eco-social work: elementi definitori e primi passi

Alla luce di questo scenario il lavoro sociale negli ultimi anni ha avvertito il bisogno di rafforzare la sua riflessione ontologica, epistemologica, teorica, di metodo ed etica intorno al ruolo giocato dall’ambiente biofisico nella determinazione del livello di benessere della persona (Dominelli 2012; Matthies e Närhi 2017). Una delle questioni fondamentali riguarda l’analisi dei meccanismi di interdipendenza tra crisi ecologica, politiche climatiche, rischi sociali e ambientali e la produzione di ulteriori conoscenze su possibili politiche e interventi eco-sociali (McKinnon 2008; Matutini 2023).

Il rapporto tra istanze di natura ecologica e social work è stato oggetto di confronto nelle più importanti sedi internazionali di servizio sociale. Già nel 2010 il tema della sostenibilità è stato definito dal Council on Social Work Education (CSWE) una questione fondamentale del nuovo secolo legata alla giustizia sociale (Dewane 2010). Si ricordano inoltre importanti eventi come la Joint World Conference on Social Work and Social Development a Stoccolma nel 2012 e a Melbourne nel 2014, in cui la crisi ecologica è stata al centro di un fitto dibattito. Nel contesto nazionale il Codice deontologico dell’assistente sociale, nella sua ultima versione approvata dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali nel 2020, ha inserito un riferimento esplicito al tema della sostenibilità ambientale.

L’assistente sociale che non vi raccontano

I sostenitori di questo approccio al lavoro sociale – che si caratterizza per la presenza di filoni di ricerca anche in parte diversi, noti come eco-social work, green social work e environmental social work – sono accomunati dalla convinzione che il mondo della natura sia una risorsa vitale per il benessere dell’uomo e la sua valorizzazione possa rappresentare una via attraverso la quale può essere ribadita la propensione del lavoro sociale alla produzione del cambiamento.

Quando si parla di lavoro eco-sociale ci si riferisce a un insieme di riflessioni teoriche e di metodo e di strumenti operativi che valorizzano il ruolo della natura, promuovendo una chiave di lettura post-antropocentrica nella definizione del concetto di benessere e nella progettazione e implementazione delle politiche e degli interventi sociali. In altre parole l’eco-social work cala l’intervento sociale all’interno di una logica di integrazione ecologica della società e si sviluppa mediante l’impiego di un approccio ecologico al lavoro sociale, inteso come un modello di intervento costruito all’interno dei vincoli della sostenibilità ecologica e sociale, nell’ambito di pratiche di lavoro olistiche e riflessive (Erikson 2018).

Il lavoro eco-sociale in Italia: una ricerca per capire le trasformazioni in atto

In Italia, dove storicamente il lavoro sociale ha goduto di limitati investimenti, questa prospettiva si sta diffondendo a macchia di leopardo e solo in tempi recenti (Rambaree et al. 2022). Rispetto ad altri Paesi, in Italia sono ancora pochi i casi di eco-social work e molto spesso non sono presentati come tali ma piuttosto come pratiche sociali innovative in ambito ambientale. Per capire come e perché ciò stia avvenendo può essere utile cercare di comprendere quali cambiamenti sono in atto all’interno di un contesto caratterizzato da un sistema di servizi sociali frammentato e sotto finanziato, e in cui la circolazione e l’integrazione di eco-idee e pratiche di lavoro sociale sono ancora limitate (Matutini et al. 2023).

Per approfondire queste trasformazioni abbiamo individuato e analizzato qualitativamente due casi studio toscani, scelti dopo una fase di mappatura. Grazie ai contatti con responsabili politici locali e regionali, operatori sociali in posizioni di coordinamento, dirigenti di organizzazioni del Terzo Settore, attraverso la lettura di documenti di policy (ad esempio, strumenti di finanziamento regionali per progetti innovativi di intervento sociale) e grazie alle informazioni raccolte attraverso una ricerca sul web, abbiamo compilato un elenco di 16 progetti attivi che soddisfacevano tre criteri:

  1. affrontano i temi dell’occupazione, della povertà e delle disuguaglianze;
  2. mostrano sensibilità per le questioni ambientali;
  3. includono il lavoro di professionisti del lavoro sociale.

Abbiamo poi filtrato i progetti in base a ulteriori criteri, individuando progetti che avessero:

  • una storia sufficientemente lunga (almeno cinque anni), in modo da essere rivelatori di pratiche consolidate;
  • una dimensione sufficientemente ampia – in termini di numero di partecipanti, risorse e articolazione – per garantire che le loro attività potessero avere una portata sufficiente;
  • un coinvolgimento minimo di organizzazioni pubbliche e private, per poter valutare il rapporto tra le due.

La maggior parte dei progetti che soddisfacevano i primi tre criteri erano di scala troppo piccola, erano troppo “nuovi” o coinvolgevano solo organizzazioni non profit, senza collegamenti con il sistema dei servizi sociali, e sono stati quindi esclusi. I due progetti rimanenti sono stati inclusi come casi di studio.

L’analisi dei casi di studio sul lavoro eco-sociale

Entrambi i casi di studio selezionati si concentrano sulle vulnerabilità sociali – problemi legati al reddito, al lavoro, alla casa, all’istruzione, all’integrazione sociale e alla salute – e sul rapporto tra uomo e natura. Il primo è un progetto di riciclaggio comunitario che trasforma gli oggetti rotti in qualcosa di utile attraverso una catena di recupero, riparazione, trasformazione e ricollocazione. Il secondo è un progetto agricolo che mira a combinare la sensibilità verso la natura, la protezione dell’ambiente di vita e la creazione di opportunità di lavoro per persone in situazioni socio-economiche svantaggiate. I due casi studio osservati ci hanno consentito di osservare, dal punto di vista delle organizzazioni coinvolte nei progetti di eco-welfare e di eco-social work, i fattori che promuovono e quelli che ostacolano l’incorporazione di nuove idee e pratiche di lavoro sociale nella realizzazione del processo stesso.

I legami tra cambiamento climatico e welfare

I progetti che abbiamo analizzato combinano obiettivi sociali e ambientali secondo la logica dell’innovazione eco-sociale. I professionisti e i beneficiari coinvolti dimostrano di essere consapevoli della peculiarità delle pratiche a cui contribuiscono rispetto ad altre forme di interventi sociali, di lotta alla povertà e di attivazione. Le narrazioni dei professionisti del lavoro sociale convergono con le idee e le pratiche alla base del lavoro eco-sociale come definito nella recente letteratura con un forte coinvolgimento della comunità. Tuttavia, pur introducendo una nuova dimensione “ecologica” nel loro lavoro, gli assistenti sociali e i coordinatori non nominano mai il “lavoro eco-sociale” né si riferiscono alle loro attività come a uno specifico, nuovo approccio di lavoro sociale.

I progetti si basano sulla capacità innovativa di gruppi informali all’interno di organizzazioni consolidate del settore non profit che operano nel campo delle politiche sociali e in combinazione con le risorse specifiche della comunità locale. Il loro consolidamento ha poi richiesto un maggiore contributo del lavoro sociale. I professionisti sembrano aver adattato e rielaborato le loro conoscenze ed esperienze, applicando un approccio al lavoro eco-sociale non formalizzato e implicito. In questo senso, i nostri casi forniscono esempi di innovazioni eco-sociali. Sebbene questa traiettoria possa essere specifica per i nostri casi come risultato dei criteri di inclusione di questo studio, è improbabile che sia eccezionale nel contesto italiano, dove, dai pochi dati in nostro possesso, sembra che le attuali innovazioni eco-sociali si basino su esperienze simili.

Gli ostacoli per rendere “visibile” il lavoro eco-sociale: possibili direzioni di lavoro

Data la crescente importanza del lavoro eco-sociale nei vari contesti nazionali, la nostra ricerca si proponeva di contribuire alla comprensione della sua diversa capacità di penetrazione nei contesti nazionali e locali. Essendo basato su due casi in una Regione, i risultati dello studio non sono assolutamente generalizzabili. Inoltre, la ricerca ha preso in considerazione solo le prospettive degli attori all’interno dei progetti eco-sociali e la loro visione del proprio ambiente. Nonostante queste limitazioni, lo studio ci ha fornito alcune indicazioni utili sui meccanismi all’opera nella diffusione del lavoro eco-sociale (e non solo).

I due casi di studio suggeriscono che il lavoro eco-sociale viene praticato all’interno di progetti innovativi, senza però essere visto, compreso e considerato come un’opzione praticabile appieno nel lavoro sociale tradizionale. I progetti in cui è inserito appaiono isolati dal più ampio campo delle politiche e degli interventi sociali e le nostre evidenze suggeriscono che le caratteristiche cognitive, relazionali e politiche del loro ambiente istituzionale non favoriscono ancora la circolazione di idee e pratiche. Gli attori potenzialmente in grado di promuovere il cambiamento – gli operatori sociali e le loro organizzazioni all’interno e all’esterno dei progetti, i responsabili politici e i fornitori di servizi nel Terzo Settore – fanno ancora fatica a considerare l’estensione del lavoro eco-sociale come una soluzione a un problema, anche perché frequentemente non possiedono lo spazio e le risorse per estenderlo e per modificare i vincoli ambientali.

Gli ostacoli principali alla diffusione del lavoro eco-sociale sembrano essere tre:

  • ostacolo di tipo politico, rappresentato dall’assenza di uno spazio per il lavoro eco-sociale: la stessa agenda politica non ha ancora introdotto una dimensione “eco” nel lavoro sociale;
  • ostacolo di tipo cognitivo, rappresentato dal fatto che iniziative diffuse nella storia del welfare sociale italiano – come i lavori di pubblica utilità, le imprese sociali di inserimento lavorativo, le imprese sociali agricole e le fattorie sociali – sono state meno collegate al lavoro eco-sociale e alla progettazione e attuazione di interventi professionali di social work da parte dei policy makers;
  • ostacolo di tipo strutturale, riferito alle relazioni reciproche tra organizzazioni pubbliche e private che sostengono l’attuale sistema di esternalizzazione della produzione di servizi di welfare.

Questi ostacoli tendono a rafforzarsi a vicenda: l’assenza di uno spazio politico per il lavoro eco-sociale ne ostacola la diffusione; la presenza di termini noti e ampiamente consolidati come ‘integrazione lavorativa’ o ‘fattorie sociali’, insieme a un sistema strutturato di relazioni tra organizzazioni pubbliche e non profit, limita il radicamento della necessità di nuove idee politiche e questo inibisce un meccanismo fondamentale che la creazione dello spazio per nuove idee di policy.

L’intelligenza degli alberi

Questi meccanismi rendono difficile, in un sistema di servizi sociali frammentati, promuovere il cambiamento, sia dall’alto che dal basso. Questa prospettiva dovrebbe essere interessante per i responsabili delle politiche sovranazionali e nazionali e per gli stakeholder che vogliono promuovere obiettivi di sostenibilità e di innovazione. Questo studio suggerisce che il problema potrebbe essere la difficoltà, in certi contesti di policy, di tradurre un’idea o una pratica innovativa in processi coerenti con l’idea originale e significativi per quel contesto. In altre parole, potrebbe non essere l’approccio a non funzionare nel contesto, ma piuttosto il contesto e gli attori al suo interno che non comprendono, elaborano, adattano e implementano l’approccio per farlo funzionare.

Sulla base di queste considerazioni, la nostra ricerca apre la strada a ulteriori e più sistematiche indagini su un campione più ampio e rappresentativo di innovazioni (eco-sociali) e con un’attenzione più ampia al posizionamento e alle strategie messe in atto da un insieme più vasto di soggetti interessati, insieme a un’analisi comparativa tra contesti istituzionali internazionali.

 

 

Riferimenti bibliografici

Note

  1. Con social work, comunemente tradotto in italiano come “servizio sociale” o “lavoro sociale”, ci si riferisce alla professione e alla disciplina accademica dell’assistente sociale. Per approfondire il tema si rimanda alla definizione internazionale di social work stilata dalla International Federation of Social Workers nel 2014, NdR.
Foto di copertina: Manfred Antranias Zimmer, Pixabay.